KarmaChimico

Società

Lo Stato antisociale

Lusky - 7/10/03

Mi sono svegliato in un paese di vincenti, di gente con le palle, che sa assumersi le proprie responsabilità e rischiare. Dovrei esserne contento, ma sono troppo cinico per crederci davvero. Eppure tutti sono così ansiosi di dimostrare le proprie capacità, di investire a lungo termine, di darci dentro. Rimangono solo alcuni ostacoli da superare prima di entrare nell'età dell'oro ed il permanere di questi ostacoli produce frustrazione.

Dopo l'ansia da prestazione, l'ansia da dominazione.

Lo stato sociale italiano è stato progettato ed attuato più di cinquant'anni fa. In un sistema economico e culturale nel quale qualsiasi prodotto è vecchio dopo due settimane, questo sarebbe già un motivo sufficiente ad abbatterlo, ma altre ragioni non mancano: lo stato sociale è improduttivo, inefficiente e insostenibile per questa nuova società di vincenti. Dalla sanità alla scuola, dall'energia alle pensioni, dovunque lo Stato abbia messo le mani è stato il tracollo, la catastrofe, l'apocalisse.

Leggi di stampo sovietico hanno mafiosamente protetto disoccupati e dipendenti pubblici in cambio di contropartite elettorali, hanno impartito un'educazione marxista a generazioni di studenti, hanno salvaguardato il posto di lavoro di fannulloni e parassiti, portando il paese sull'orlo dell'abisso.

Strano.

Nel '45 eravamo un paese del terzo mondo, ora siamo nel G8 - in compagnia anche di altri stati che hanno adottato politiche simili. I nostri nonni ed i nostri padri hanno vissuto in questo paese allo sfascio e nella maggior parte dei casi sono nati in un ospedale pubblico, hanno studiato alla scuola pubblica, sono stati curati dalla sanità pubblica, hanno lavorato dove volevano o potevano ed ora prendono una pensione dallo stato. Bene o male, sono sopravvissuti anche grazie a questi diritti che lo stato sociale ci consente.

Ci dicono che a noi, di questi diritti, ne spetteranno meno. Inevitabilmente. Perche' costano troppo, perche' la popolazione invecchia, perche' si fanno pochi figli. Quello che funzionava in un'Italia da terzo mondo non funziona più in un'Italia da G8. Ai nostri figli - se mai ne vorremo avere - ne spetteranno ancora meno, di questi diritti.

Inevitabilmente.

Perchè vivremo in un mondo più bello, più ricco, più sano e più ordinato grazie alla fine dello stato sociale, ma la società continuerà ad invecchiare, faremo sempre meno figli e non ci saranno proprio soldi per garantire la sicurezza sociale a tutti. O l'istruzione. O la salute.

Il capitalismo ha riscoperto il determinismo; per vivere felici non dovremmo far altro che seguire le nazioni più evolute, rammaricandoci di questa zavorra assistenzialista che ha causato il ritardo. Non c'è via di scampo: il treno del progresso non si ferma a nessuna stazione e soprattutto non può deviare.

Ma retorica a parte, lo stato sociale si deve abbandonare perchè i conti non tornano. Nessuno si degna mai di farceli vedere 'sti conti, ma non si puo' partire sempre dal presupposto che la gente sia in malafede. Diciamo solo: i conti non tornano, bisogna cambiare. Come cambiamo?

Non si vanno a cercare le cose che non funzionano, si fa prima a buttare via tutto. Si tagliano i fondi, si privatizza, si licenzia la manodopera: lo stato sociale in Italia morirà per eutanasia. Perfettamente razionale? Se la sanità va male, sicuramente non andrà meglio grazie ad un taglio ai finanziamenti. Se la scuola pubblica va male, non è finanziando le private che si vedranno miglioramenti. Se il sistema delle pensioni è iniquo e insufficiente, prolungare gli anni di contributi necessari non farà che addossare su tutti il peso dell'inefficienza del sistema.

Volendo seguire la logica di questo stato, dovremmo rottamare la macchina ogni volta che finiamo la benzina, gettare la televisione quando l'immagine inizia a sfarfallare e buttare nel secchio la camicia macchiata di sugo. Che, tra parentesi, è esattamente la logica del sistema capitalistico contemporaneo.

Cosa ci possiamo aspettare dall'applicazione di questa logica al welfare nel suo complesso? Senza voler essere pessimisti credo che ci stiamo avviando verso una strada che ci porterà ad essere "più americani degli americani". Uno dei probabili risultati di questo modo di pensare la società è un'ancora più estesa atomizzazione sociale; le risposte ai bisogni sociali tendono a cadere in un'ottica prettamente individuale nella quale ognuno fa per sè, in base alle proprie possibilità e capacità. Di conseguenza i bisogni stessi cessano di essere percepiti come collettivi: se il mio problema, la mia necessità (mandare i figli a scuola, curare una malattia, provvedere al mio mantenimento dopo la fine del lavoro) non può avere che una risposta individuale, anche se altri posseggono il medesimo problema questo non potrà più essere sentito come un bisogno comune ma al massimo come l'aggregazione di diversi bisogni individuali, ai quali ciascuno dovrà singolarmente cercare una soluzione.

L'atomizzazione della società non è certo una novità. Non è neppure detto che sia completamente negativa: ciascuno sceglie ciò che più gli piace, senza essere costretto ad adattarsi ad un'offerta limitata dallo stato - a patto che possa permetterselo, naturalmente. Questa è l'estensione ai servizi sociali della libertà del supermercato: trenta tipi di shampo diversi come prova che siamo in democrazia. Tra l'altro molti individui distinti consumano più di un gruppo.

Spronati dall'equivoco dell'anticomunismo, nel cui nome ormai tutto è lecito, il liberalismo selvaggio dei nuovi destrorsi vuole imporre la legge della giungla. La carta di credito come una clava, per sancire la superiorità sociale di chi ha più soldi e quindi più possibilità di scelta; ma cosa succederà a chi si dovrà accontentare di una scuola di scarsa qualità (perchè sempre più svalutata), di strutture sanitarie destinate ad essere sempre più inefficienti? Cosa accadrà a chi, per sfortuna, per incapacità o anche per svogliatezza e prodigalità non riesca a mettere da parte soldi per una pensione privata? A chi rimarrà senza lavoro a cinquant'anni cosa succederà? Chi aiuterà chi sarà, banalmente e semplicemente, senza soldi?

Cazzi loro. Chi ha peccato deve morire. In questa società di vincenti, così ricca, così fiduciosa, non c'è spazio per la compassione e non c'è spazio neppure per il dubbio che la ruota della fortuna possa un giorno girare dalla parte sbagliata. Stiamo costruendo un futuro che non ammette possibilità di sbagli. Lo stato non deve avere un'etica, siamo liberi.

Questa filosofia così fiduciosa nelle capacità umane di sopravvivenza individuale mantiene alcune classiche contraddizioni. Lo stato non deve interferire con la vita sociale dell'individuo, ma paradossalmente ha ancora molto da dire sulla sua vita privata: lo stato deve essere sempre di più una mamma che stucchevolmente e severamente insegna ai cittadini i comportamenti da evitare, li esorta ad evitarli, li punisce se non li evita. Lo stato non può più curarci se ci ammaliamo, perciò si limita a ricordarci di indossare il maglione quando fa freddo, anzi ci martella continuamente con il messaggio che senza maglione ci ammaleremmo sicuramente, ci esorta a disprezzare chi non porta il maglione e ad insultarlo. Se poi si ammala, la società può dormire sonni tranquilli.

Lo stato è un gendarme che ci sorveglia non per proteggerci, ma per punirci. Ci toglie la sicurezza e la sostituisce con quel surrogato che è la sorveglianza. Alcuni non riescono a cogliere la differenza e si sentono più sicuri sapendo che qualcuno punisce chi sbaglia, chi mette in pericolo la sua vita e la sua proprietà o anche solo mette in dubbio quella sua fiduciosa sensazione di essere un vincente in un paese di vincenti.

Ma su quali basi va applicata la legge dello stato, se accettiamo la logica del più forte? Quali libertà deve garantire lo stato, fino a che punto, e a chi? Che senso ha che lo stato ci voglia imporre un'etica, se allo stesso tempo delegittima la propria stessa autorità negandosi la capacità di assistere i cittadini ed il diritto a farlo?

Rimane in sospeso un'altra piccola questione. Una volta che lo stato abbia cessato di fornirci i servizi di base, la protezione sociale ed una certa dose minima di sicurezza, una volta che lo stato si sia ridotto ad una mera amministrazione della giustizia, perchè mai dovremmo ancora averne bisogno? Una volta privatizzato tutto il resto e dimostrato che chi ha più soldi può di più (cioè ha più potere), cosa ci dovrebbe fermare dal privatizzare anche le leggi, la magistratura e tutto quel che rimane?

Non sono domande retoriche. Mi chiedo veramente se lo stato sarà in grado di suicidarsi e permettere ai cittadini di cadere nell'estremismo liberista o se terrorizzato non cederà all'antica tentazione di imporre il controllo e recuperare il potere dopo aver svenduto l'autorità, generando l'ennesima forma di mostro dittatoriale. Spero che entrambe le ipotesi siano errate, ma ancora mi chiedo: a quanta gente, in questo paese di vincenti, in fondo in fondo non dispiacerebbe che la società andasse incontro ad uno di questi destini o all'altro? E se fossi solo io a provare un timore ingiustificato?

Forse la verità è solo che trovo azzardato atteggiarsi da vincenti quando si ignorano le regole e non si conosce lo scopo del gioco. Il desiderio di buttare all'aria il tabellone è quanto meno comprensibile.


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