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Anime: Boogiepop Phantom

Boogiepop Phantom

Nello - 29/04/2004

Verso la fine degli anni '90 venne pubblicata in Giappone una serie di romanzi a sfondo fantahorror che riscosse un certo successo. L'autore, tale Kouhei Kadono, si dimostrò abilissimo nel saper sfruttare una voga oggi ancora in auge, quella del racconto di paura che mischia leggenda metropolitana e tecnologia, tracciato urbano e psicologie finite alla deriva per una serie di eventi per lo più inspiegabili e che si insinuano nella vita come per volontà di un destino scritto nel cemento della città tentacolare. Per capirci, lo stesso calderone da cui si è tirato fuori il fortunatissimo e imitatissimo "Ringu" giapponese.

Per uno sviluppo che in Giappone è realtà commerciale da molto tempo, il successo di questi romanzi diede il via ad un "progetto multipiattaforma". Esso consiste nello sviluppare una singola ambientazione o traccia narrativa attraverso più mezzi espressivi, dalla letteratura fino ai videogiochi e con una forte interdipendenza fra loro. Levando gli occhi sull'intero complesso dei prodotti così realizzati si perverrebbe ad un simmetrico complesso d'ambientazione, un prodotto-mondo in grado di ampliarsi in tutte le direzioni, integrando il nucleo basilare con dettagli che potrebbero arrivare a gemmare una nuova traccia narrativa. Le implicazioni commerciali come quelle estetiche-fabulistiche sono lampanti. "Ringu" ha prodotto, come da una matrice di base, una serie di sequel, dei remake americani, dei romanzi, un anime, un manga, qualche videogioco. "Matrix" è stato il processo più compiuto che in Occidente abbia preso questa direzione, con il solo precedente videoludico di "Star Wars".

I romanzi di Kouhei Kadono generarono una prole dello stesso tipo: al primo fortunatissimo romanzo ne seguirono un'altra decina (e la produzione seriale è ancora in corso), un film, due manga e una serie televisiva d'animazione. L'ambientazione è quella di una deprimente metropoli non meglio specificata in cui una serie di eventi sconvolgono l'ordinaria esistenza di molti giovani studenti. Nella molteplicità di avvenimenti e storie, uno dei pochi trait d'union sembra essere la figura di Boogiepop, misterioso essere sovrannaturale frutto forse della troppo fervida fantasia scolastica, un bizzarro "dio della morte" le cui azioni sono imperscrutabili e minacciose. Tratto caratteristico dei romanzi - e, detto senza troppi giri di parole, unico elemento interessante, almeno a prestare fede a molte recensioni - è una spiccata coralità, che si manifesta nell'accumulo di personaggi e prospettive. Ne risultano trame complicate al limite della comprensibilità, richiami fra un volume all'altro, riprese e rifocalizzazioni.

Il primo volume della serie romanzesca, "Boogiepop no waranai" ("Boogiepop non ride") è quello più sfruttato: il film ne è la fedele trasposizione, così come il primo manga. E il livello non si discosta dalla media delle produzioni coeve in fatto di qualità. Boogiepop è più o meno un'altra Sadako (e chi ha visto "Ringu" sa di che parlo: se avete visto il remake americano, si parla di Samara), solo meno classificabile. Come si dice in gergo cinefilo, nient'altro che exploitation. "Boogiepop Phantom" è un'altra cosa, e testimonia un'ennesima volta che in queste produzioni si può tirare fuori oro dallo sterco. Se Lain è tratto da un videogioco, perché un'ottima serie non può essere tratta da una serie di romanzetti mediocri? Questa plasmabilità dalla plastica e dalla mediocrità è certo una forza per chi voglia intendere un nuovo fenomeno estetico senza pregiudiziali crociane e puristiche. "Boogiepop Phantom", dicevamo, dovrebbe essere solo uno degli ingranaggi atti a far avanzare l'hype (il fenomeno per cui si forma una attenzione e un'attesa smisurata per il gioco narrativo, e per cui si disquisisce spesso e volentieri dei dettagli appartenenti all'universo interno della fiction: pensate al celebre e fortunatamente ironico libro "La fisica di Star Trek"). Invece questa serie televisiva in 12 puntate segue un percorso diverso: i diritti della sua messa in onda vengono acquisiti dallo stesso network che ha proiettato "Serial Experiments Lain", e si forma, per la sua realizzazione, un gruppo di transfughi temporanei da altri studi. Di notevole caratura è la presenza di Sadayuki Murai alla sceneggiatura: trattasi di un giovane scrittore, talento emergente, che ha già firmato gli script per gli anime cinematografici di Satoshi Kon, regista quotatissimo in Giappone, e per il celebre "Cowboy Bebop". La libertà creativa è pressoché totale, come lo fu per Lain:
ne esce un prodotto allo stesso tempo simile e autonomo dal predecessore, messo in onda alle due di notte come quello e rivolto ad una nicchia di spettatori selezionati.

Con "Boogiepop Phantom" termina probabilmente il periodo aureo della "sperimentazione dal basso" dell'animazione nipponica. Dopo alcune manifestazioni di un pensiero problematico su un mondo sentito come irriducibilmente vacuo di senso, dopo un'analisi dall'interno della società figlia della Fine della Storia, da questa informale scuola non è venuta una proposta di soluzione, essendo trovata nelle più radicali e polari scelte d'esistenza. L'assolutismo cui si è approdati, è abbastanza chiaro, non lascia molto spazio al dialogo: ne consegue che questa scuola ha avocato a sé l'impossibilità di potere elaborare ulteriormente il discorso. A parere di chi scrive, questa constatazione è preziosa e necessaria perché frutto di un dubbio e di un tormento non sedato da supporti ideologici, ma è potenzialmente distruttiva. Compito di questa rassegna sarà trovare opere che forniscano una risposta o un'alternativa a queste conclusioni.

Se vogliamo, BP è una sorta di opera manifesto di quegli anni: essendo l'ultima arrivata, ha certo fatto sue certe esperienze, e credo che risulterà chiaro durante la visione quanto ne siano state riflettute anche le ultime tappe speculative. Però questa serie è meno "pura" sotto questo profilo: in qualche modo cerca di agganciarsi all'esterno e quello che perde in coerenza lo guadagna in ricchezza compositiva.

Direi che BP tratta delle ricadute delle riflessioni delle opere precedenti sulla società da cui queste si sono mosse. Infatti la storia prende avvio da un avvenimento carico di mistero assoluto (sulla società grava una minaccia che è anche una promessa) e intorno a quell'avvenimento si condensano un gran numero di vicende che in una storia normale diremmo marginali.

Invece BP seguirà le vite proprio dei personaggi secondari, tutte legate a diversi livelli, tutte parziali, che nella loro somma formano l'affresco puntuale della società abitata dal demone della Fine (recuperando in questo modo anche il meglio di Kadono). I primi episodi sono anche i più angosciosi, i più nichilisti fino al limite della speranza. Invece col progredire della trama, l'ampio sguardo sembra muoversi più vicino ai personaggi, sembra catturare la tristezza collettiva, perché è comunque con una realtà varia e non certo solo colpevole che si ha a che fare. Per usare un'immagine che mi piace molto, mentre Lain Iwakura scala i livelli (i layer…) di una conoscenza assoluta fino all'astrazione, BP tratta i problemi di coloro che la ragazzina del Wired ha lasciato sulla terra. Una storia corale, un'epica metropolitana abitata dai fantasmi della vita contemporanea, per decifrare la quale non abbiamo (ancora) i mezzi e che, tuttavia, possiamo sentire all'incrocio portentoso di innumerevoli tempi e vite individuali. Con la promessa e la minaccia di un futuro ignoto.

"Boogiepop Phantom" ha vinto il premio per la migliore opera animata televisiva del 2003 al festival di Castelli Animati Italia.


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