KarmaChimico

Anime: Serial Experiments Lain

Di una certa tendenza dell'animazione giapponese [1]

Nello - 18/09/2003

"Oh, gli amici sfigati che vanno a vedere i cartoni animati giapponesi!"

Pierpaolo Comini (il giorno prima della visione del finale di Lain)

Questa tendenza a dire il vero è ben che passata. Si ferma, fin dove la mia conoscenza arriva, al 1999, che però è già anno supplementare: infatti chi scrive ritiene i quattro anni precedenti il periodo migliore dell'animazione giapponese, in specie, ed è importante sottolinearlo, di quella televisiva, esposta in misura maggiore alle buriane del canone televisivo. Lo spunto da cui partono queste note estemporanee, buttate giù senza un disegno preciso - e sperando che questo rassereni il mio stile, normalmente piuttosto contorto - , è la conclusione di Serial experiments Lain, serie edita da Dynamic in versione dvd, un anno dopo la parallela uscita in vhs. Parlerò, come mio solito, anche di altro, e in effetti al momento mi interesserebbe inquadrare questa produzione in un contesto, quello del senso della medesima, che mi preme chiarire. Non nascondo che provo ancora imbarazzo a trattare questi temi: non tanto per paura di apparire infantile, dato che ho potuto constatare di aver visto pochissimi cartoni giapponesi rispetto a persone che magari si definiscono profani, quanto per l'attenzione che porto verso certe di queste opere. Una certa passione per il cinema, negli ultimi anni scemata, rincara la dose: esso sarà ancora per molto tempo il "fratello grande".

"<< Non voglio diventare adulta… >> << …evoluzione… >> << …organizzazione Towa… >>. Ma questi cartoni sono tutti uguali!"

Alberto Garbellotto (commentando la sigla dell'anime Boogiepop Phantom)

Serial experiments Lain ha una caratteristica peculiare: è rarissimo trovare persone che ne parlino male, e le recensioni sono per lo più esclamative. Se qualcuno esprime un parere negativo, è probabile che non abbia visto tutti gli episodi, che si sia stufato prima. D'altra parte è anche vero che non è che se ne parli molto, magari viene rispolverata come termine di paragone, o discussa da cultori compassati, per nulla fanatici. In mezzo al bla bla bla della produzione centrale, questa serie, pur presente a quasi tutti, rimane discreta.

Certo ha aiutato la sua collocazione: è stato il primo anime ad essere andato in onda alle due di notte per espresso disegno di autori e network. Si è subito quindi stabilita la natura underground dell'opera, relegata ai margini, dai temi che sarebbe semplicistico definire adulti, e naturalmente libera di sperimentare, di osare, di provocare. La prima puntata, fra le più belle, colpisce, sancisce la sua diversità, allontana o attrae senza soluzioni medie. Il prosieguo segue il filo dell'indecifrabilità, di uno stile convulso, spesso simile alla video-art, di una narrazione di cui non si può dire che non fornisce risposte perché spesso non si capiscono nemmeno le domande. Ed è interessante che il finale sia stato uno dei meno discussi, dei maggiormente accettati, per quanto certo non si possa definire conciliativo: forse il fatto che l'intera serie non sia conciliativa ne ha frenato la provocazione, come fosse stato risucchiato dall'approccio precedentemente assunto ad una mancanza di bisogno di risposte frattanto sorta nello spettatore. Sperimentale ed avanguardistica insieme, Serial experiments Lain è più o meno considerata un dato di fatto, una tappa in qualche modo sentita come necessaria, a posteriori, da chi se ne intende: talmente oggettivato nella sua singolarità da non implicare un riconoscimento nemmeno nominale al regista Ryutaro Nakamura o allo sceneggiatore Chiaki J. Konaka. In generale, è vista come il lato non urlato del fracassone Neon Genesis Evangelion, filiazione o opposizione di esso.

Rispetto a questo trattamento, ho un atteggiamento ambiguo: non posso non notarne la significatività, un effetto di determinato comportamento ricettivo generale quasi fosse un sintomo. Ma di Lain si è parlato troppo in termini di genere, cioè di innovazione nel contesto angusto dell'animazione giapponese, vertendo sull'aspetto stilistico più che su quello contenutistico, più su quello rivoluzionario che su quello conativo. Il mio disappunto nasce dal fatto che il nucleo di Lain è stato come relegato in un angolo, il dolore che ne è l'anima praticamente ignorato, la causa di quel dolore nemmeno meditata (e sì che mi pare sia la cosa più palese che si evince dalla serie): per non parlare della soluzione, a mio parere centrale, soprattutto, ed è quanto vorrei fare qui, nell'ottica delle altre opere importanti del periodo, e in particolar modo, come si vedrà, dei loro finali.

Le serie di cui sto parlando hanno in comune fra loro, e in comune con Lain, un approccio "pesante" e sono volentieri cerebrali, arzigogolate: un tempo parlai di un filone concettuale e non fui preso sul serio, forse a ragione, eppure un cascame di quella riflessione (a dire il vero molto economica) si è instillata in quella presente. Il punto è tracciare un limite fra produzione derivativa rispetto ad una mentalità o, che ne so, un'arte o una società, e una invece che su quel complesso ragiona, magari arrivando a soluzioni nuove o più chiare. Un problema critico con Lain sta per me proprio in questo punto: essendo una serie innovativa ha scaricato come sempre accade molta della sua energia su se stessa, è diventata un caso in parte metalinguistico, ha cioè interessato il suo rapporto con gli anime, vicinanza o distanza, e cioè la sua sorgente; ma la foce, il risultato in un mondo che vive di ben altro che di animazione, ha avuto poco o nulla. E a torto. Senza alcun dubbio perché Lain è il meno oberato dai cardini dell'animazione giapponese - il che naturalmente non significa che non lo sia affatto. Lo spazio della sua narrazione è beninteso giapponese, ma vivo della modernità omologa a America del nord, Europa e Asia dell'estremo oriente (anche cinese, di Shangai); giapponese in quella parte che cambierebbe poco di segno se venisse definita milanese, londinese, newyorkese, in quell'accezione socioligica di iponimo di occidentale. L'opera bagna nell'assetto in cui vivono gli abitanti della geografia della ricchezza turbocapitalistica , e dunque dove viviamo noi: un'opera che ci riguarda, che ci parla e che si ascolterebbe meglio se non si sapesse che è un anime.

Lain si apparenta, come già detto, ad altri anime, i "pesanti": virgoletto perché mi preme chiarire cosa intendo con questa parola. Non certo la difficoltà di reggerli (pure una realtà, sembrerebbe): ma invece la tendenza a trattare argomenti enormi per ambizione e importanza astratta, frutto di una riflessione filosofica e fantascientifica insieme portata al massimo grado di straniamento rispetto ad un referente sempre comune, la società degli anni '90. Quest'ultimo particolare è quello fondamentale. Perché è il particolare storico che riporta il discorso di queste serie nel terreno della pertinenza comune degli spettatori, anche se ad una visione superficiale ben poco della Storia viene trattato. E' vero, ed è un segno in più: perché proprio del solo presente, il presente dittatoriale della fine della Storia, esse parlano, non esternamente ma internamente; non sotto il segno del romanzo ma sotto quello del pamphlet e del trattato; non nell'ottica dei rapporti di classe né in quella geopolitica, ma nell'ottica politica del figlio nel grembo della madre.

[Continua]


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