2/11
2004

A Venezia con l’acqua alla gola

Venerdì sera. Non appena l’orologio scatta dalle 17.30 alle 17.31 chiudo in rapida successione tutte le finestre di windows, spengo il computer con una secchiata d’acqua ed esco di corsa dal luogo di quotidiano sfruttamento lavorativo. In programma: fine settimana a Venezia. Il treno parte alle 18.53 e fino a quel momento tutta la mia organisescion per il viaggio si riassume nel chiedere via sms se fossero necessari gli stivali per l’acqua alta. Sms che a causa degli squilibri ormonali avevo pure inviato alla persona sbagliata, oltre tutto.
Salgo in auto ed esco dal parcheggio sgommando come Sciumacher. Dopo 5 metri mi trovo imbottigliato in un ingorgo che si snoda assai lentamente dalla zona industriale fino al pianerottolo delle mie scale, provocato dalla pioggia e dal bradipo che occupa la strada con un sit-in di protesta contro la firma della Costituzione Europea, dalla quale risulta assente ogni riferimento alle radici bradipesche del vecchio continente.
Entro in casa alle 18.05. Doccia, barba e valigia fatta alla rinfusa gettandoci dentro tutto quello che teoricamente mi sarebbe potuto servire in due o tre giorni di vita veneziana (dimentico però il caricabatteria del cellulare, che negli ultimi mesi è diventato per me un equivalente del pacemaker). Esco di casa alle 18.25, corro a casa di qualcun altro a recuperare un sacco a pelo, un ombrello ed un passaggio in auto fino alla stazione.
Lungo la strada per la stazione incappo in un altro ingorgo: il bradipo avvolto in una kefiah palestinese sta bruciando pupazzi di sharon in mezzo alla carreggiata. Arrivo alle 18.50, faccio il biglietto, salgo in treno, mi accorgo che non ho obliterato il biglietto, scendo, oblitero, risalgo e mi rilasso (mi informano che da ieri a salire in treno senza biglietto si rischiano 25 euro di multa ed una notte d’amore con bondi). Il resto del viaggio è tranquillo.

A Venezia mi aspetta solo l’amico Giulio; gli altri caballeros sono troppo impegnati a riflettere sulla squisita decadenza del mondo occidentale, inseguire diciassettenni o studiare. Noi perdigiorno preferiamo invece immergerci come gentiluomini d’altri tempi nella bolgia veneziana, dedicandoci principalmente alla cultura ed all’arte -- in primis enogastronomica, ma pure ad un paio di mostre per ammazzare il tempo nei momenti di sobrietà. L’acqua alta tende ad isolarci dal resto del mondo tutte le mattine, condannandoci ad oziare svogliatamente ed a fumare nervosamente... questo perché naturalmente io sono infine partito senza stivali di gomma. Rileviamo con una certa indignazione una differenza sostanziale tra le due tipologie di locali che frequentiamo con più assiduità: i bar ed i musei. Nei bar veneziani, infatti, il cameriere tende a parlare dignitosamente tre o quattro lingue, tra le quali non è necessariamente incluso l’italiano; persino nei musei più importanti, al contrario, i custodi spesso non sanno spiccicare una parola di inglese ed elargiscono spiegazioni o insulti sempre rigorosamente in italiano. Ah, Venezia...

Altre cose da ricordare, in attesa di eventuali foto:

- Il suggestivo quadretto di una signora che canta graziosamente al balcone per salutare il mio arrivo a Ve;
- Il suggestivo quadretto di me che sposto la schedina della omnitel dal mio telefono a quello di Giulio una media di sessanta volte al giorno, non appena mi si è esaurita la batteria;
- Il suggestivo quadretto di Giulio che mi presta il cellulare dicendo "Tanto a me non mi chiama mai nessuno" (sì, eravamo due gentiluomini d’altri tempi allegri come cipressi il primo novembre);
- La mezza serata trascorsa al tavolo del pub con una serba, una greca, un’ungherese, un irlandese ed un finlandese, e questo spiega almeno perché i camerieri possano fottersene dell’italiano;
- La silhouette notturna del veliero Amerigo Vespucci ormeggiato in laguna;
- Carlo ed i suoi 15.823 modi di usare la forcola, alcuni dei quali citati anche nel kamasutra;
- troppe sigarette...

Note estemporanee di zio Lusky:
State alla larga dagli anarchici informali, gli anarchici per bene si riconoscono perché danno sempre del lei e dicono buongiorno, buonasera, prego, si accomodi, e grazie.




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