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20/9
2005

Scendere dal marciapiede

Il fatto che a milano abbiano chiuso una scuola privata, definita di volta in volta "araba", "egiziana" o "islamica" tout court, dovrebbe di norma interessarmi ben poco. E’ pure ben difficile che io avverta lo stimolo di difendere la scuola privata, molto più spesso succede il contrario. In questo caso mi tocca fare una parziale eccezione.

Che succede? C’era questa scuola a milano frequentata da circa 500 bambini, soprattutto figli di immigrati egiziani, dove l’insegnamento sembrava seguire più i programmi scolastici egiziani che quelli italiani; probabilmente per questo la scuola, aperta da sei anni, non era riconosciuta dalla legge italiana ed è stata chiusa ai primi di settembre. Ho scritto "probabilmente" perché all’inizio, non si sa bene perché, si diceva che la scuola era stata chiusa per mancato rispetto delle necessarie condizioni igieniche e sanitarie e non si parlava molto del programma, mentre adesso le motivazioni della chiusura sembrano cambiate.
In realtà pare che l’inadempienza all’obbligo scolastico, derivata dal mancato riconoscimento della scuola, avesse già provocato denunce da parte del comune di milano negli ultimi due anni. Così come le precarie condizioni dell’edificio. Evidentemente i gestori di questa scuola confidavano nel fatto che in italia leggi e denunce tendono a cadere nel vuoto e che per le scuole private c’è sempre un occhio di riguardo, dimostrando in questo modo di essersi fin troppo integrati nella nostra culturicchia. Stranamente, questa volta è andata male e ad incasinare il tutto la chiusura della scuola è avvenuta solo una settimana prima della data di riapertura della Scuola.
Ora, parte di questi bambini è stata mandata comunque nelle scuole pubbliche: la soluzione più pratica e ragionevole. Un’altra parte - si parla di trenta bambini su cinquecento - segue le lezioni dell’insegnante arabo sul marciapiede, in segno di protesta. Altri, pare, sono stati lasciati a casa del tutto.

E’ normale che in questo caso si sollevi un po’ di polverone, sono in ballo le parole d’ordine più in voga della stagione: scuola, islam, integrazione, cultura, legge, tolleranza. Normale quindi che la lega denunci la creazione di scuole islamiche private difendendosi preventivamente da accuse di lassismo e debolezza culturale, che affermi con orgoglio che "La scuola italiana non deve prendere lezioni dal Corano" ed allo stesso tempo definisca la presenza di stranieri nella scuola pubblica italiana un’"invasione straniera" parlando di situazione "critica" che rischia di "sfuggire di mano".
Normale che Libero si senta libero di dedurre che "cinquecento ragazzi di fede islamica (e soprattutto i relativi genitori, nonni, zii e parenti vari) [...] se ne infischiano del dialogo, dell’inserimento, delle nostre leggi."
Normale che, d’altra parte, i genitori dei bambini difendano il proprio diritto a mandare i figli in una scuola che ritengono più adatta alla loro formazione, sia per ragioni culturali, sia in prospettiva di un ritorno nel paese di origine.

Non è semplice prendere una posizione, ammesso di volerlo fare. Nessuno si pone il problema di mettere in discussione programmi e metodi di insegnamento delle altre scuole private, che in quanto regolari e parificate dovrebbero essere compatibili con il sistema scolastico pubblico al quale sempre più succhiano impunemente risorse. D’altra parte, quelle sono scuole soprattutto cattoliche e destinate ai figli delle elite: esistono per preparare la nuova generazione di ricchi e potenti ad ereditare il peso della ricchezza e del potere. Questo caso è diverso, da una parte c’è il bisogno di una minoranza di sentirsi tutelata, dall’altra il bisogno che questa comunità non si ghettizzi chiudendosi in se stessa. Il fatto è che entrambi questi bisogni dovrebbero essere soddisfatti dalla scuola pubblica senza che si ponga affatto la necessità di cercare soluzioni private, ma la legge italiana tutela al momento soltanto le minoranze linguistiche storiche e non quelle di recente formazione, nonostante la Costituzione ci impegni a tutelare le minoranze linguistiche senza altro specificare (art. 6).

Personalmente non mi stupisce che dei genitori stranieri, specie se di fede islamica, decidano di evitare ai propri figli la frequentazione di una scuola pubblica che va sempre peggiorando, nella quale si dovrebbero confrontare ogni giorno con i frutti di una cultura che va marcendo e spesso - lungi dal tutelarli - si rivela loro ostile. Non mi stupisce ma non per questo mi trova d’accordo, perché ritengo sia nella mescolanza e nel confronto che le diverse culture possono provare a conoscersi e migliorarsi a vicenda e perché credo che imparare bene la lingua e la cultura di questa società sia utile particolarmente a chi ne vive, in ogni senso, ai margini; mica per integrarsi, ma per imparare a comprendere i potenti ed il loro linguaggio, a riconoscerne soprusi e bugie ed a difendersi di conseguenza. L’isolamento, al contrario, anche quando è solidamente motivato favorisce incomprensione ed ignoranza, preparando la strada a quella sottomissione economica, politica e culturale che fa tanto comodo ai leghisti ed agli altri paleonazisti par loro: "perché", come diceva quel pretaccio di Lorenzo Milani, "è solo la lingua che fa uguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui."

Note estemporanee di zio Lusky:
State alla larga dagli anarchici informali, gli anarchici per bene si riconoscono perché danno sempre del lei e dicono buongiorno, buonasera, prego, si accomodi, e grazie.




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