Una domenica mattina qualunque, io e quattro conoscenti beviamo un caffè al bar della stazione. Un caffè, dice uno, o meglio un bicchiere di vino. Fuma e parla a ripetizione, ha perso se possibile qualche chilo. Sta per emigrare in Romania. Un altro dei quattro vive ormai in Lituania, il terzo non parla, l’ultimo gioca a ping pong con la Turchia dove pubblica articoli che nessuno gli paga. Le ultime menti della mia generazione stanno lasciando il paese, se la ridono dell’Europa e vanno dove li porta l’istinto di sopravvivenza, come tutti gli animali sani. Io mi verso un altro pastis e ricomincio a scrivere.
Un giorno, in questo triste borgo natio resteremo solo io e la gatta, e quando neanche la gatta ci sarà più potrò dire con una certa soddisfazione di essere il più intelligente in giro. Ogni bomba che cade, cade su di noi. Ogni aereo che cade è il nostro aereo. Si progettano vacanze, riforme, attentati, grotteschi e teneri monumenti digitali agli antenati, battute di caccia ai fantasmi, poi tutto cade. Se restiamo vivi, ci rialziamo in piedi. Se siamo in piedi, ricominciamo. Sarei solo felice di saperti felice, dice la ferita al coltello. Scioccamente, l’ama. Io mi verso un altro pastis e continuo a scrivere, lasciando aperta qualche parentesi per quando vorrai tornare.
Note estemporanee di zio Lusky:
State alla larga dagli anarchici informali, gli anarchici per bene si riconoscono perché danno sempre del lei e dicono buongiorno, buonasera, prego, si accomodi, e grazie.