16/2
2009

Un affare da uomini

Tra i più infami nell’ampio repertorio di delitti infami commessi dall’uomo, un posto d’onore molto particolare spetta allo stupro, il delitto impossibile da giustificare e per il quale è sempre vergognoso cercare delle attenuanti. Nessun avvocato o presentatore televisivo sarebbe disposto a giocarsi la carriera o a prendersi le uova in faccia schierandosi in difesa di uno stupratore, inventandosi macchinose ipotesi sullo svolgimento dei fatti o disquisendo sulle motivazioni, il contesto, lo stato psicologico dell’aggressore, la posizione delle macchie di sangue. Lo stupro è esente da quei giochini da talk show ai quali ci siamo abituati, ai plastici del luogo del delitto, ai testimoni a sorpresa che poi ritrattano, alle indiscrezioni pilotate. Abbiamo visto trasformare in spettacolo ogni rapimento, omicidio, ogni strage ed attentato, ogni guerra che ci siamo riusciti ad inventare, ma per lo stupro abbiamo ancora un certo pudore, dello stupro non si ride, non si discute, lo stupro è un crimine che va lavato con il sangue e dimenticato il prima possibile, lo stupro non si analizza, non va compreso ma punito. Un secondo di esitazione su questo punto, un solo battito di ciglia, e si é considerati complici dello stupratore, potenziali aggressori, l’odio per questa violenza accomuna tutti, destri e sinistri, uomini e donne, e non c’è garantismo o relativismo che tenga. Salvo che poi qualcuno che dissenta da questa monolitica condanna ci deve pur essere, dato che le donne continuano a venire violentate, qualche volta in strada e quasi sempre in famiglia, questa santa istituzione cellula fondamentale della nostra società, suscitando ogni volta il medesimo sdegno e lo stesso dolore.
Ma non è strano, mi chiedevo ieri mentre affettavo con la motosega tronconi di betulla, che con questa ributtante ondata di stupri che sta travolgendo il paese, come se ogni maschio eterosessuale non riuscisse più a tenersi l’uccello nei pantaloni, ancora ogni caso sia trattato come un episodio a sé stante, o al limite come un surrogato particolarmente ferace dell’emergenza sicurezza, del problema dell’immigrazione clandestina, ancora non si senta nessuno cercare di fare un passo indietro e dare uno sguardo alla dimensione sociale di questa violenza, ancora nessuno ragioni sulle motivazioni sociali e culturali, su quali siano le cause e su cosa si possa fare per rimuovere queste cause? Ogni stupro che viene sbattuto in prima pagina si risolve in una caccia al colpevole, ogni discussione si limita ad occuparsi di cosa fargli una volta preso, della punizione da infliggere, di come gestire la rabbia popolare. Si reprime, dando per scontato che non si possa impedire, ma non si cerca di risolvere. Valgono quel che valgono, queste considerazioni fatte con la sega elettrica, ma di solito se non ci si interroga su un problema o è perché si sa già la risposta, o perché non si vede nessun problema. In questo caso, forse non è che risolvere interessi più di tanto, in fondo la gestione del potere è ancora saldamente in mano maschile e lo stupro è una faccenda che coinvolge gli uomini solo indirettamente, offendendo il loro diritto esclusivo di possesso di una donna, la loro sovranità su una fidanzata o figlia o madre o sorella, umiliando la loro virilità e rinchiudendola in un bagagliaio, mettendo in discussione l’ancestrale dovere maschile di proteggere la famiglia dalle bestie feroci. Parlarne, è imbarazzante sia per la donna offesa che per l’uomo, potenziale aggressore o capofamiglia umiliato. E forse sotto sotto la violenza sessuale viene considerata un istinto insopprimibile dell’uomo, una specie di marchio di caino che portiamo impresso nel cromosoma y, e quando esplode non ci si può far nulla, e a chi capita capita, come una calamità naturale, un fulmine o un’inondazione, inutile farci tanti discorsi sopra. Pur essendoci millenni di civilizzazione a mediare il nostro rapporto con lo stupro, mi sembra che ogni volta si affronti l’argomento con la stessa logica dell’uomo delle caverne che per primo se ne deve essere occupato: la donna subisce, l’uomo si inferocisce, la comunità si solleva, il torto viene riparato sopprimendo l’aggressore e tutto torna alla normalità. Si parla molto della punizione, in realtà, e poco dello stupro, perché la vendetta è una faccenda da uomini, mentre lo stupro è un problema da donne, e quante volte ancora si sente dire che se la vanno a cercare, vestendosi o comportandosi in un certo modo, in un modo che di certo il loro uomo marito o padre non approva. Potrebbe essere proprio questo, forse, il motivo per cui più di tanto sullo stupro non si ragiona, dello stupro non se ne parla se non in termini di onore da vendicare, perché ragionarci porterebbe a smascherare questo primordiale teatrino in cui la donna è comunque trattata come un oggetto del dominio maschile, da ferire o da mettere sotto chiave, da vendere o da comprare, da tutelare o da proteggere ma solo nei termini stabiliti dall’uomo ed alle sue condizioni, da sedurre con una scatola di cioccolatini o, alla peggio, da vendicare con una clava.

Note estemporanee di zio Lusky:
State alla larga dagli anarchici informali, gli anarchici per bene si riconoscono perché danno sempre del lei e dicono buongiorno, buonasera, prego, si accomodi, e grazie.




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