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2010

Un semplice pezzo di legno da catasta

Pinocchio. Pinocchio. Pinocchio. L’odioso nome mi ticchetta nella testa, mi scava buchi nel cervello come il becco di un picchio.

Io con i classici ho sempre avuto un cattivo rapporto. Tutti i classici: i classici della musica, i classici della letteratura, i classici del cinema. Tutti tranne i Grandi Classici Disney, ovviamente, quelli erano capolavori. Sarà perché il classico è sempre stato per me qualcosa di legato alla scuola (ho fatto il classico) ed io ho vissuto la scuola come una lunga battaglia tra me ed i professori, cosa che col senno di poi reputo molto stupida perché avrei potuto ricavare molto di più dall’esperienza scolastica se l’avessi vissuta, per esempio, come un lungo training sulla coltivazione delle muffe nel mio cervello. Ad ogni modo, c’è gente che i classici li subisce e c’è gente che i classici li strappa dalle cold dead hands dei loro creatori e li fa a brandelli, li ricompone, li riempie di scariche elettriche e li riporta in vita. Questo credo sia un grandissimo atto d’amore, anche se vi sconsiglio di farlo sulla fidanzata che v’ha lasciato.
Quella gran capa di Strelnik ha pensato che ad aver bisogno di una bella iniezione di linfa fresca erano le vene del grande burattino italiano. Non Minzolini, ovviamente, ma quello fatto di legno, con un gran naso e malamente interpretato da un comico italiano che una volta faceva ridere. No, neanche Fassino, dai. Pinocchio. E tra tutti i mejo bloggher cui Strelnik ha chiesto di partecipare alla (seconda) riscrittura della favola del pezzo di legno parlante ci sono pure io. L’avreste mai detto che erano rimasti così pochi bloggher in giro? Di fronte a tanto onore mi sono scese per la commozione due grosse gocce di resina, perché io con Pinocchio ho un rapporto speciale: l’ho sempre odiato. Perché prima era un bambino libero, per quanto antipatico, ma alla fine si pente e si doglie dei suoi peccati per diventare un burattino nelle mani di quel falegname ossessivo e della sua fata nazista. Proprio come Giovanni Lindo Ferretti, esatto. O almeno così l’ho visto io, e così l’ho scritto nella storia pubblicata qui, che voi ora potreste andare (per esempio) a leggere e poi tornare qui a dirmi che non è questo granché, che vi aspettavate molto meglio, che non fa ridere ed altre cazzate perché siete invidiosi. O più bravi, certo. Per invogliarvi ulteriormente vi informo anche che tra tutte le belle riscritture pubblicate, la storia prima della mia è stata scritta da Arkangel, ed è davvero una curiosa coincidenza perché quello di Arkangel è stato il primo blog che io abbia cominciato a leggere e questo mi ha invogliato a cominciare a scriverne uno perciò se non fosse stato per lei io probabilmente non sarei qui, o sarei qui ma starei facendo altro, e voi stareste leggendo le sgrammaticate stupidaggini di qualcun altro, oppure stareste leggendo le mie ma in quel caso sareste a casa mia ed avreste frugato nei miei cassetti (non si fa) e se non mi fossi spiegato abbastanza chiaramente ora c’è un mio post attaccato ad uno (splendido) di Arkangel e ’sticazzi tra tutti gli eventi improbabili questo fino a pochi giorni fa era giusto un filo meno improbabile del PD alla presidenza del Veneto.
Insomma, siori e siore, la premiata ditta karmachimica vi presenta Vladimir Ilianovic Rambaldi, detto "Pinocchio" per distinguerlo dal cugino Pigreco. Ed anche, in qualche modo, il suo riflesso.

Note estemporanee di zio Lusky:
State alla larga dagli anarchici informali, gli anarchici per bene si riconoscono perché danno sempre del lei e dicono buongiorno, buonasera, prego, si accomodi, e grazie.




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