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2017

Dal pozzo

Il giorno in cui sono andato a discutere la tesi sono andato a Trento da solo, con la vecchia auto dei miei. Era il 12 settembre 2001. Il giorno prima era successo qualcosa e tutti erano nervosi, ma io pensavo solo alla tesi ed ero affilato come un coltello. Scivolai dentro la facoltà pochi minuti prima dell’orario previsto per il mio appello e lì trovai un amico, teso, lì per il mio stesso motivo.

Non era proprio un amico, diciamo che stava nell’orbita dei miei amici. Molto serio, determinato, intelligente, ansioso. Ci siamo più o meno frequentati per tutti gli anni dell’università, incrociati in sala studio, in mensa, eppure di tutti quegli anni ricordo di lui solo le poche parole scambiate quel giorno.

Mi accolse incredulo sul pianerottolo di fronte all’aula, non voleva credere che mi fossi fermato a bere un aperitivo da solo, nel bar dove chi voleva laurearsi non sarebbe dovuto entrare. Lui girovagava per la facoltà da un pezzo. Per strada l’aveva fermato un cronista dell’Adige, chiedendogli cosa ne pensava degli attentati alle Torri Gemelle. Lui aveva risposto che non pensava niente, stava andando a discutere la tesi. Il cronista si era scandalizzato che non avessero sospeso gli esami in quel giorno tragico per l’umanità e lui l’aveva mandato a cagare, così mi raccontò. Poi lo chiamarono dentro l’aula, o chiamarono me, e non ho altri ricordi di lui.

Ho raccontato questa storiella mille volte, un po’ per la storia del giornalista e molto per sottolinearmi quanto io fossi figo all’epoca, che mentre tutti si agitavano andavo a bermi un prosecco alle nove di mattina sul muso dell’ansia e del terrore.

Non era proprio un amico, ma quel ragazzo mi era molto simpatico e lo ammiravo persino, si vedeva che non era un cazzaro come noialtri. Peccato che io non avessi il suo numero di telefono, che all’epoca non esistessero le reti sociali, che prima che inventassero le reti sociali io avessi completamente dimenticato il suo nome. Non la sua faccia, il suo sorriso teso del 12 settembre. Perso del tutto nel mare dell’oblio.

Poi, il mese scorso, alle tre di notte improvvisamente il suo nome mi è tornato in mente. Così, come un lampo nella notte. Me lo sono appuntato subito sul telefono, per non perderlo di nuovo, ed il giorno dopo ho scandagliato tutti i soliti mezzi per ritrovarlo e l’ho ritrovato. Ho scoperto che era poco più vecchio di me, forse per quello mi sembrava più serio all’università. Dopo la laurea è andato a vivere in Irlanda e Portogallo. Ha studiato, insegnato, scritto libri. Si è sposato ed ha avuto una figlia. Č morto per una brutta malattia, quasi tre anni fa, ed io non riesco a capire perché questo fatto così lontano ed inevitabile mi faccia così tremendamente soffrire da settimane, perché mi faccia così male.

In un certo senso, l’ho tenuto vivo con me per tutti questi anni, cristallizzato in quel giorno come una farfalla sotto vetro. Giovane, nervoso, sorridente, vivo. Nella mia memoria, nella mia immaginazione egli era immortale e senza nome. Che scherzi ingiusti e volgari ci gioca la cosiddetta realtà.

Note estemporanee di zio Lusky:
State alla larga dagli anarchici informali, gli anarchici per bene si riconoscono perché danno sempre del lei e dicono buongiorno, buonasera, prego, si accomodi, e grazie.




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