Tale è il potere evocativo della parola, che alcune frasi pesano come sentenze sul destino di una persona o di un’intero popolo. Nel caso dell’Italia, una di queste frasi è il gattopardesco «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi.» Quante volte l’abbiamo sentita ripetere nelle sue mille varianti, sempre paragonata al periodo attuale.
Tutto rimane com’è, eppure tutto cambia, persino in quest’epoca di grandi tumulti psicosanitari.
Ricordo di aver letto per la prima volta di questa "nuova influenza simile alla Sars" uno dei primissimi giorni dello scorso anno, mentre mi godevo l’ultima vacanza all’estero in un clima di normalità. Fumavo su un balcone affacciato su un piccolo villaggio di montagna sloveno, avevo un brutto presentimento per i miei amici in Cina, mi scrollavo poi di dosso senza alcuna fatica cenere e pensieri. Continuai a seguire il rigagnolo di informazioni fino a quando diventarono un torrente di illazioni, battute di cattivo gusto, video falsi messi in circolazione sui social e rassicurazioni che da noi, mai. Eravamo preparati, puliti, igienici. Ricordo quando a febbraio andai per la prima volta a fare la spesa con la mascherina, la gente che mi guardava ridacchiando da lontano. Il torrente divenne un fiume e ci travolse, come i fiumi travolgono inconsapevoli le dighe costruite dai bambini con rami secchi e ciottoli. Le scuole chiusero, le fabbriche diventarono luoghi di contagio, le strade pericolose, i supermercati teatro di psicosi collettive. Il cambiamento fu repentino e sconvolgente: didattica a distanza, cassa integrazione, chiusure, un lessico da bombardamento fatto di lockdown, coprifuoco, sterilizzazione e quarantena.
Eppure, tutto cambia sempre. La nostra specie sarebbe del tutto inadatta a sopravvivere in natura, se non fosse dotata di una straordinaria capacità di adattamento ai cambiamenti. Anche in questa situazione ci siamo tuffati in avanti con uno spirito da conquistatori del futuro, al grido di "Andrà tutto bene!", tra arcobaleni e rassicurazioni che ne saremmo usciti migliori.
Non ne siamo ancora usciti, dopo quasi un anno e varie speranze disattese, molti errori strategici e qualche vicolo cieco, però in generale è ora difficile credere che ne usciremo migliori. Oggi è praticamente impossibile incontrare qualcuno al supermercato senza mascherina, un tizio ci ha provato ed hanno evacuato il negozio come se avesse avuto addosso una cintura esplosiva. Non siamo più così maniaci riguardo ai guanti o alla sanificazione del carrello della spesa, ma ci disinfettiamo sempre le mani e parliamo a ragionevole distanza. Non ci abbracciamo più neanche tra parenti, e viviamo appesi alla promessa di un vaccino. Lavoriamo in uffici remoti e studiamo in aule remote, ma facciamo ancora grosso modo quello che facevamo prima, tra capi rapaci, professori più o meno inconcludenti e con il cannone di una grossa crisi economica puntato contro. In fondo in fondo restiamo sempre i soliti stronzi, anche se a distanza.
(L’amico Pornorambo mi aveva curiosamente chiesto di commentare la faccenda di Renzi ed ero partito con le migliori intenzioni di farlo, ma ricollegare Renzi a questo discorso è un po’ come quelle brusche virate di argomento che assumevano i miei temi in classe quando mi accorgevo di aver parlato per i cazzi miei per tre pagine e mancavano dieci minuti alla consegna).
Esiste tuttavia ancora, in questo Paese dove tutto cambia perché nulla cambi, un curioso non-luogo dove tutto rimane sempre uguale perché è il luogo preposto per eccellenza al cambiamento. Un posto dove, unico in Italia, si può girare con la mascherina abbassata sul naso, creare assembramenti, sfidare pubblicamente le regole senza grandi conseguenze. Un posto dove urlare, insultare, minacciare e fare oscene battute sulla sorte del Paese senza che nessuno si alzi dalla sedia e ti infili due pappine per farti rinsavire: si tratta naturalmente del parlamento. Non vorrei sembrare populista, credo fermamente nella necessità del parlamento, se non altro per tenere occupati quegli anziani e tenerli distanti dalle loro consuete attività criminose. Ci è capitato tuttavia in queste ultime settimane di assistere ad uno spettacolo particolarmente vergognoso avvenuto proprio in parlamento: Matteo Renzi, l’uomo che si era ritirato dalla politica qualche anno fa, l’uomo che ha reso l’odiosa immagine del PD ancora più odiosa, l’uomo con la più ricca collezione di tradimenti dalla caduta dell’impero romano d’occidente, ci ha deliziato per giorni con una crisi di governo causata apparentemente solo dalla sua crisi di astinenza da telecamere. Fortunatamente il tentativo di arrembaggio è stato respinto, anche grazie ai voti di alcuni figuri sospetti tra i quali non escludo di aver riconosciuto gli addetti alle pulizie di montecitorio ed un cane poliziotto stazionato da quelle parti. Speriamo che ora il meschino prenda atto della propria irrilevanza politica e se ne torni nel proprio ambiente naturale a mangiare pane senza sale. Non sono un estimatore del governo Conte e mi viene la pelle d’oca di fronte all’ipotesi che non si possa mettere in discussione il governo a causa della pandemia, se non altro perché la pandemia durerà ancora a lungo e sarà seguita da crisi economica, carestia e guerra e solo la mancanza di dio sa quanto non vorrei trovarmi ancora Conte al governo nel lungo inverno post atomico. Tuttavia, anziché vedere ancora una volta l’Italia soffocata dall’obeso ego di Renzi preferisco aspettare che il governo Conte, con tutte le sue squallide inefficienze, i terribili compromessi e l’insopportabile linea politica, giunga serenamente alla sua naturale conclusione: l’invasione da parte dell’esercito di liberazione popolare e la sostituzione con un governo fantoccio guidato da Pechino.
Note estemporanee di zio Lusky:
State alla larga dagli anarchici informali, gli anarchici per bene si riconoscono perché danno sempre del lei e dicono buongiorno, buonasera, prego, si accomodi, e grazie.