L’elettore di sinistra, il progressista, lunedì mattina si è svegliato con una comprensibile voglia di emigrare. Le elezioni hanno fotografato, dice, un Paese razzista, omofobo, sessista, rozzo ed ignorante. Lo stesso Paese del venerdì sera immagino, ma con l’aggravante del lunedì mattina. I risultati sono effettivamente sconfortanti: la Lega, nella sua ultima incarnazione salviniana e fascistoide, ottiene percentuali bulgare al Nord e comunque molto alte a livello nazionale; i populisti bipolari del Movimento 5 Stelle sono il primo partito, Berlusconi è ancora in grado di far numeri, il PD paga pegno. Forze e movimenti di sinistra: non pervenuti. Capisco il desiderio di emigrare.
Emigriamo dunque, compagni. Emigriamo dalle università, dai social network, dalle serie tv su Netflix, dai locali alternativi che ormai di alternativo hanno solo la trovata creativa per ritagliarsi una nicchia di mercato. Emigriamo in periferia, emigriamo in provincia, nelle zone industriali più grigie, tra i capannoni in affitto, emigriamo nelle grandi fabbriche e nei laboratori artigiani, emigriamo pure nei campi che l’aria aperta fa bene. Emigriamo tra gli italiani e tra i migranti, tra le minoranze e sparpagliamoci pure tra le fila delle maggioranze. Studiamo, con tutta questa intelligenza d’avanzo, torniamo a studiare il lessico di questi territori che conoscevamo meglio di tutti e poi abbiamo dimenticato. Troviamo e sosteniamo quelli di noi che sono già lì, che ci sono sempre stati, gli ultimi mohicani ed i carbonari abbandonati. Impariamo, prima di voler insegnare.
Ogni volta che vi lamentate con arroganza del suffragio universale vi odio un po’, compagni. Vi atteggiate ad intellettuali disgustati nella vostra torre d’avorio, quando nella maggior parte dei casi siete solo dei pomposi snob arrampicati su un mucchio di macerie. State in piedi solo perché sedendovi vi sporchereste i pantaloni, e mai sia che qualcuno vi scambi per un poveraccio.
Abbiamo testa e cuore dalla parte giusta, abbiamo rabbia, energia e ragione da trasformare in azione, mani per lavorare e piedi per camminare ed assestare calci. Emigriamo, dunque. Torniamo a casa.
Note estemporanee di zio Lusky:
State alla larga dagli anarchici informali, gli anarchici per bene si riconoscono perché danno sempre del lei e dicono buongiorno, buonasera, prego, si accomodi, e grazie.