Sicurezza, si sente un gran bisogno di sicurezza in giro. "Sicurezza" è una delle parole d’ordine più à la page del momento, assieme a "casa nostra", "recessione" e "fecondazione". Non potendo rimanere sorda ai gorgoglii intestinali dei cittadini, l’autorità appronta lestamente una risposta a questo bisogno di sicurezza, come una mamma che infila una felpa al pargoletto quando uno dei due ha freddo.
Ecco dunque schierato per la nostra sicurezza un esercito di vigilantes, poliziotti di quartiere, micropoliziotti, informatori, carabinieri in borghese, nonni-vigile, cognati-finanzieri, parroci-digos. Armati, per la nostra sicurezza, di telecamere. Microfoni da intercettazione. Autovelox. Gilet catarifrangenti. Pistole ad acqua spegni-sigarette. Manganelli per i più riottosi.
Dovremmo quindi sentirci sufficientemente sicuri, grazie a tutta questa gente. Dovremmo. Ma.
Quando sbircio il mio boccheggiante conto in banca alla fine del mese, quando sento parlare ruini alla radio, quando leggo gli articoli della fallaci, quando parlo con molta gente che mi gironzola attorno, non è dei rom, degli albanesi, dei pedofili, degli omosessuali, dei terroristi arabi o delle mamme assassine che ho paura.
Datemi la sicurezza, ma quella che voglio io. Datemi la sicurezza che se tra un anno o dieci deciderò malauguratamente di metter su famiglia avrò una ragionevole possibilità di farlo. Datemi la sicurezza che per i miei eventuali figli votare avrà ancora un senso. Datemi la sicurezza che nessuno dei miei amici verrà mai mandato in qualche parte del mondo a farsi sparare perché l’Eni possa aprire una nuova filiale. Datemi la sicurezza di potermi dichiarare ateo senza subire rappresaglie. Datemi la sicurezza che io ed un milionario, un vescovo, un carabiniere, di fronte alla legge italiana siamo uguali. Datemi almeno la sicurezza che se mi verrà una carie (non dico un cancro, eh) potrò farmela curare senza dover chiedere soldi in prestito alla banca.
Non chiedo molto. In fondo queste sicurezze io una volta ce le avevo. Me le avete scippate. Ed in giro non c’è neanche un padre costituente di quartiere da poter chiamare.
Note estemporanee di zio Lusky:
State alla larga dagli anarchici informali, gli anarchici per bene si riconoscono perché danno sempre del lei e dicono buongiorno, buonasera, prego, si accomodi, e grazie.
Inspirare, espirare.
Interiorizzare, lutto.
Ricominciare, lotta.
Segnarsi questa data nel calendario.
Inspirare.
Espirare.
Sono una specie di santissimo guru del cazzo. L’unico punto calmo in mezzo alla bufera. L’occhio del ciclone.
Inspiro. Eeeespiiiro. Vedo il mio animale guida.
Controllo il mio battito cardiaco.
Inspiiiiirooooooh...
...scusate, devo andare un attimo a bruciare una chiesa.
Poi espiro.
Con il cuore in gola vi riporto una foto ed una lettera che mi sono state recapitate anonimamente via e-mail. Non sono in grado di garantirne l’autenticità e non mi ritengo in alcun modo coinvolto nel contenuto del messaggio, del quale mi faccio latore solo per non rischiare un aggravamento delle condizioni dell’ostaggio assolvendo così al mio dovere civico di pubblico informatore. Data la gravità della situazione, potrebbe essere opportuno diffondere il comunicato quanto più possibile, tramite i mezzi a vostra disposizione.
"Il vostro amato sig. Karol Wojtyla, noto anche come Giovanni Paolo 2, si trova attualmente sotto la Mia custodia. La foto allegata vi convinca che non si tratta di millantazione, Wojtyla è mio prigioniero ed anche se al momento gode di buona salute (in effetti, sta addirittura meglio di quando Me lo avete consegnato) non Mi è possibile garantire che tale condizione persista in futuro. E’ necessario che voi sappiate che il suo destino dipende esclusivamente e fino alle estreme conseguenze dal raggiungimento del quorum nei referendum del 12 e 13 Giugno 2005; se tale quorum non sarà raggiunto, il sig. Wojtyla sarà da Me destinato al reparto punitivo dei Miei domini dove saranno pianto, stridore di denti, etc. etc. come da documento programmatico precedentemente pervenutovi.
Avrei preferito evitare l’impiego di strategie così apertamente aggressive e radicali, ma l’arroganza e la falsità dimostrate da numerosi Miei sedicenti rappresentanti terrestri Mi ha reso evidente come sia ormai necessario elevare il livello dello scontro portando l’attacco al cuore del sistema religioso e diffondendo senza intermediari le Mie ben determinate volontà.
Personalmente sono favorevole alla procreazione assistita, ma consapevole del funzionamento della pseudodemocrazia borghese da voi adottata non pretendo di influenzare direttamente il risultato del referendum; Mi limito ad esigere che i membri del Mio fan club esprimano a riguardo una propria libera opinione, dissociandoMi da chiunque si sia permesso di affermare il contrario.
Tengo infine a ricordare, nel caso le Mie volontà non vengano rispettate, come la Mia fama non sia dovuta né a clemenza né a pazienza: del resto, non è mai particolarmente saggio contraddire una Donna.
Vostra,
Dio."
Ricordo che il link verso il comitato per il referendum è questo - sì, ci arrivate anche cliccando su quel grosso cerchio verde a sinistra.
Il molto meno nobile link verso la mia recensione dell’Episodio 3 di Star Worse è questo, ed ovviamente tra le due cose non c’è alcun legame ma non avevo voglia di scrivere due post.
Primo Maggio, Primo Maggio, festa dei lavoratori...
ed è pur vero che poi, in realtà, chi se lo ricorda più? E’ un giorno svuotato come tutti
gli altri del proprio significato, un puro simbolo. I lavoratori, discutevamo ieri sul treno del ritorno, hanno poco da far
festa, dato che per la maggior parte di loro
noi
già mantenersi è abbastanza gravoso. "Sarebbe bello andare a Vilnius a trovare Grifo", ci dicevamo, ma bisognerebbe
trovare la ricca ereditiera da sposare, o mettersi a spacciare, perché comunque lavorando onestamente oggi non combini più un
cazzo. Forse sarebbe il caso di smettere di far festa con i soldi che non si hanno ed in piazza scenderci per rivendicare i
diritti, per riprendersi i diritti, invece che per cantare e ballare.
Comunque
...l’amico PornoRambo, gentilissima signora et io andiamo a roma per il concerto. Tipo hai presente il concerto del primo
maggio a roma?
Ma chi suona? Niente di che. Però, io a roma non c’ero mai stato,
perché non prendere questa scusa?
[Premessa]
Dai diari delle conversazioni alla mensa aziendale:
Buzzurro: "Ma davvero vai a roma? Bravo, porta soldi a roma. Io non lo farei mai, non andrei mai giù a dare soldi
ai romani."
#: (grassa risata di scherno) "Te l’ho detto che a dicembre sono stato a napoli, vero? E mi è piaciuta
assai."
[/Premessa]
Si pone il problema del viaggio, perché il triste borgo natio è situato alla periferia della periferia di polentalandia e noi
non abbiamo un’auto a disposizione. La
mia, rottamata a novembre e sempre a proposito di lavoratori non ho i soldi per comprarmene un’altra (banale, ma vero) e non
ho voglia di impantanarmi in rate e mutui che finirebbero per incatenarmi ancora di più alla situazione ed al posto non
proprio gradevolissimi in cui vivo. Porno e signora, studenti non motorizzati. Si decide di viaggiare in treno, ma
chiaramente bisogna partire prestissimo, tipo
alle cinque del mattino
per cui, ci si propone di andare a letto presto. Proposito che va a puttane, trovandomi al bar a chiacchierare e bere con le
amiche 17nni, con una loro amica belga che ha quell’inconfondibile accento francese che mi fa morire e svariati altri
pittoreschi personaggi del borgo. A qualche ora vado a dormire, alle quattro e cinquanta mi sveglio e faccio una doccia,
preparo la valigia, si stacca un ripiano dell’armadio cadendo a terra con gran fracasso e penso che appena incrocierò gli
inquilini del piano di sotto scoprirò finalmente quanto siano pazienti. Che già con la festa di qualche settimana fa li
abbiamo messi a dura prova.
Arriviamo a Vincenza puntuali per prendere il treno, ma sorpresa: il treno delle sei e venti è in ritardo di quarantacinque
minuti. Tra le varie ipotesi
(io e Porno che portiamo sfiga
il macchinista che ha fatto le ore piccole allo skiosko
varie ed eventuali)
il resto del viaggio ci confermerà l’unica verità possibile: il papa Nazinger stava facendo macumbe per ostacolare la nostra
visita alla città che le istituzioni ed il becero popolo gli hanno recentemente regalato. Senza lasciarci intimidire,
tuttavia, aspettiamo continuando imperterriti a scagliare a nostra volta maledizioni sulla sua papale persona (come sempre,
quindi) e su trenitalia, suo braccio secolare; sbarchiamo in capitale e provvediamo subito a chiedere il rimborso del
biglietto come altre ottomila persone, alla fine mezzo biglietto ce l’hanno offerto le ferrovie.
Usciamo, c’è il sole. Quando il sole
splende sul borgo natio è quasi sempre filtrato da una cortese cappa di umidità che favorisce la crescita di importanti muffe
nello spirito dei tristi abitanti. Il sole di roma (vabbé, il sole del sud, si potrebbe dire) scalda e brucia, ci sarà pure
lo smog a fare da filtro ma è un sole più buono. Raggiungiamo la nostra base a Roma, casa di un amico di PornoRambo
che gentilmente ci ospita; secondo i piani, la dimora avrebbe dovuto trovarsi in centro
invece
è a monte sacro
forse PornoRambo ha troppi amici a roma, ed uno di questi probabilmente abita in centro e gioca a squash, ma non è da lui che
siamo andati. Comunque c’è l’autobus, che c’importa?
Ringraziamo il gentile ospite e beviamo con lui una bottiglia di vino, poi ci muoviamo verso il centro.
Che bel sole, mentre aspettiamo l’autobus.
Aspettiamo l’autobus.
Aspettiamo l’autobus.
Assieme a molte altre persone, per poi scoprire che il primo maggio, a roma, non ci sono autobus. I taxi saranno impegnati a
spostare la gente dalla stazione a san giovanni traendone grande profitto. Che si fa?
La nomentana.
A piedi, sotto quel bel sole, ridendo e scherzando per un’ora e mezza per non sentire la stanchezza dovuta anche alle troppo
poche ore di sonno. E intanto che scrivo
qui allegramente parlano di licenziamenti, la festa ai lavoratori.
Passare da porta pia è una grande soddisfazione, beviamo un caffè e gironzoliamo per il centro, ci stendiamo al circo massimo
a prendere il sole e pigramente raggiungiamo l’Evento
Ci facciamo strada in mezzo alla folla, il prode Porno entra in modalità tetris riuscendo a farci sgusciare fino in vista del
palco e mettendo molta più gente dietro di noi di
quanta ce ne sia davanti - nonostante in effetti noi si sia arrivati in ora tarda. Pazienza pure se quando tutti saltavano le
nostre gambe affaticate per il sonno, il viaggio, la camminata, cedessero consentendoci al massimo un ritmato step sul posto.
E tutt’attorno a noi, dovunque volgesse lo sguardo
bancarelle, bibitari, magliette, ragazzi e ragazze e vecchi e bambini e persino un cane ed una bicicletta
più studenti che lavoratori, ad occhio e croce
striscioni e bandiere della pace, dei comunisti, di che guevara, della cisl, persino una italiana che mi chiedo che cazzo ci
facesse lì
birre e canne e mele e cori
tutti uguali, diversi, qualche gruppo decente che suona e molti di poco decenti, così com’è la folla sotto di loro presa nel
rituale collettivo del più grande concerto d’europa ma c’è un momento in cui
i soliti Modena
cantano la solita Bella ciao
e per tre minuti ci sono cinquecentomila voci che scandiscono la stessa canzone, pugni alzati contro il cielo e non vuol dire
nulla ma è stupendo, l’estetica della massa mi rapisce
dovunque, siamo circondati da facce, gambe, braccia, occhi, seni, magliette sudate
pura materia sotto il sole, e non sono lì per la musica ma solo perché è lì che bisogna stare, ed ognuno giudichi se sia
giusto o sbagliato ma in quel momento mi è piaciuto.
Sgusciamo fuori prima della fine del concerto, l’obbiettivo era tornare a casa del nostro amico per uscire con lui
che i romani di roma, comprensibilmente, dopo una certa età il concerto del primo maggio
preferiscono evitarlo, annoiati
ma ancora non c’erano autobus né taxi a soccorrerci, prendiamo la metro per un pezzo di strada ma dobbiamo camminare di nuovo
a lungo e quando arriviamo siamo sfiniti
stappiamo un’altra bottiglia, stendiamo i sacchi a pelo e cerchiamo di dormire qualche ora.
Ieri, lunedì
strategicamente mi ero preso un giorno di ferie
ci svegliamo e facciamo colazione, rigraziamo copiosamente il nostro ospite per l’accoglienza e torniamo in centro, questa
volta in autobus, e ci prepariamo alla controffensiva. Ci avviciniamo di soppiatto, passando per campo dei fiori dove
giordano bruno fu arrostito, per via caetani dove trovarono aldo moro, ed avvertendo sempre maggiore resistenza nell’aria
abbiamo attraversato il tevere arrivando in piazza.
Quella piazza che ci hanno sparato in televisione per giorni e giorni, gremita di gente che si
attacca a qualsiasi cosa pur di credere che la propria vita abbia un senso, e noi eravamo lì, senza nulla credere
Non a rendere omaggio a un morto o a un vivo, solo a guardare le colonne e a lanciare la nostra sfida al presunto, untuoso,
cane da guardia del non esistente.
Il tedesco non ha osato raccogliere la sfida e non è sceso a prenderci, nonostante le macumbe siamo riusciti ad arrivare
sotto le sue finestre e almeno lui non può fare altrettanto, che se me lo trovassi sotto la finestra di casa mia, sarebbe
olio bollente che vola.
Si respirava comunque una fede ottusa nell’aria, e l’entusiasmo viscido di chi ci guadagna sopra. Uscendo con un certo sollievo dalla bella
piazza, PornoRambo guarda un gruppetto di prelati che ci passa a fianco e commenta allegramente borioso: "Jedi del cazzo,
non riuscite neppure ad avvertire la presenza del lato oscuro."
Siamo sfiniti ma riusciamo ancora a ridere.
Da lì in poi, il solito ritorno.
P.S.: No, non mi avete convinto a ritornare al bloggo. A parte che avete una forza persuasiva
che non convincereste neanche berlusconi a dire una cazzata, non ero qui ad aspettare i complimenti per ritornare, che tanto
lo sapevo già da prima che a qualcuno sarebbe dispiaciuto. Vi ringrazio, ma KarmaChimico è ancora da considerarsi chiuso al
di là questa eccezione, che probabilmente non avrà un seguito in tempi brevi.
Queste sono parole che avevo letto parecchio tempo fa, che mi erano piaciute, che erano state perse ed ho ritrovato per caso vagabondando per la Discarica:
Addento le penne
e le stringo coi denti
come un tossico
con la sua siringa
mentre stringe l’emostatico al braccio
Ho bisogno di
-un accendino che funzioni
la sigaretta la troverò
-un francobollo da 0,60 cents
per poter spedire in Europa
i pensieri del caso
-un assorbente
che mi ricordi
quanto sangue ho in corpo
caso mai
riuscissi a dimenticarmene
almeno una cazzo di volta
-fogli
-il mio quaderno
PUTTANA DI SCRITTURA
MALEDETTA
Vita
[R. - 26.04.2004]
Parole che non sono mie, com’è evidente, ma mi piacciono ancora e volevo condividerle. In effetti, c’è un che di buffo nel condividere qualcosa che non è mio ed immagino sia estremamente riprovevole averle pubblicate senza chiedere il permesso all’autrice. Portate pazienza: si tratta del mio penultimo sgarbo su queste pagine, e non certo perché abbia deciso di diventare un bravo ragazzo.
(Il mio ultimo sgarbo è che salto tutta la parte commovente in cui il blogghista spiega com’è arrivato alla tragica decisione di abbandonare il proprio bloggo, manda baci ai lettori amici, scrive una sensazionale frase di chiusura e si leva
dalle palle; preferisco lasciarla alla vostra libera immaginazione, tanto i post di chiusura rientrano nella categoria serial fuffa e sono sostanzialmente intercambiabili.)
Elle si sveglia alle nove di mattina, apre le finestre e nota che lo attende un’altra soleggiata giornata di noia, si lava la faccia e fa colazione con una sigaretta. Nessun sintomo di sbornia da smaltire, perché nonostante l’impegno profuso la sera prima non è riuscito ad ubriacarsi ed è andato a letto presto; accende il computer, torna sotto le coperte e si guarda beato e sonnolento un film, sottotitoli in giapponese ed inglese che a volte scorrono troppo veloce, a volte sono troncati dalla banda nera del formato sedici noni. Alle undici e trenta Elle si veste, fuma un’altra sigaretta e va a gettare tre sacchetti di pubblicità elettorale, offerte speciali dei supermercati e cartoni dello yogurt nel cassonetto della carta. Già che c’è il sole e non ha nulla da fare, Elle va a mangiare dai suoi, giusto per soddisfare i bisogni primari almeno una volta ogni tanto.
L.: Tutto questo casino mi pare esagerato. Lo dice anche il proverbio: è morto, se ne farà un altro.
F.: Sì, ma questo erano ventisei anni che non moriva.
Elle se ne va a votare attraversando a piedi il paese deserto. Nella sua vecchia scuola non ci sono che gli scrutatori indaffarati a leggere il giornale ed un poliziotto che lo saluta senza conoscerlo. Elle esce dalla scuola, guarda la targa di marmo appesa fuori che parla di Resistenza e si accende ancora una sigaretta, sale in macchina senza una meta e raggiunge il borgo, pensa che magari Pi è già sveglio anche se sono solo le due e mezzo del pomeriggio. Pi è sveglio, stanco per la baldoria del sabato sera, lamenta uno stomaco a pezzi e l’inquietudine di doversi rimettere a far qualcosa dopo la laurea. Sta preparando uno spettacolo sulla Resistenza e dato che è bravo si accolla la maggior parte del lavoro, del resto sembra l’unico ad avere del tempo libero; l’incasso dello spettacolo servirà a finanziare un giornale con cui lui collabora solo sporadicamente, è riuscito almeno a far mettere in nota spese sessanta euro di birra e sarà tutto quello che ci guadagnerà. Pi promette che leggerà il racconto che Elle gli ha portato, si sentiranno in settimana.
P.: Non è possibile, dobbiamo organizzare uno spettacolo e questi pensano solo alla figa. Non è il modo di lavorare.
Ci sta per lasciare il triste borgo e presto tornerà in Gran Bretagna, privandoci del suo accento francese e lasciandoci in cambio i sospiri malinconici dell’amato GiEmme. Ci confida ad Elle di non aver voglia di partire, mentre il pallone da calcio passa sopra le loro teste ed il prato comincia a riempirsi di gente. Elle ha il forte sospetto che non sia dal suo borgo natio che Ci stenta a separarsi, che non sia il pensiero di un appartamento vuoto a renderle triste il ritorno. GiEmme ed Elle tentano di venire a capo di tutte le feste che dovranno affrontare nelle prossime settimane. La madre di Ci l’ha chiamata per informarla della morte del papa. Sono in Italia, ha risposto Ci, non si parla d’altro da tre giorni. Eppure il borgo sembra aver ripreso vita, scaldato dal sole primaverile, si cerca una terrace dove bere qualcosa. Qualcuno dovrebbe insegnare a questo cameriere di cosa si parla quando si parla di spritz, pensa Elle. Poi Ci e GiEmme se ne devono andare, Elle ritorna a sedersi sull’erba.
L.: L’anno prossimo andrò a votare con il passaporto.
GM.: Se vince di nuovo B., I’m ready to leave the country.
Erre vuole un gelato, Enne ed Elle la accompagnano in pianura ma passano prima per la libreria di fianco. Dopo aver comprato due libri ed un gelato gusto ace ad Elle non rimangono più neanche i soldi per il caffé, mentre Enne ha già dovuto chiedere un prestito. Riprendono a passeggiare e parlano di libri buoni e cattivi, di film buoni e cattivi; camminare e chiacchierare sono ancora passatempi a buon mercato, ma non sanno dove andare. Salgono sulla balconata del duomo a guardare la gente in piazza, scendono, vanno a trovare il kebabbaro che ha iniziato a preparare anche il burek ma alla macedone, così sostiene Enne, con carne, patate, cipolla. Il kebabbaro promette che presto troveranno anche quello con il formaggio e senza carne, ma Elle dubita che sarà buono quanto quello di Belgrado e desidererebbe trovarsi là. Càpitano di nuovo in piazzetta, il borgo ruota su se stesso, stanno per separarsi ma da un’altra strada arrivano A ed Emme.
N.: Per la tesi mi sono imposto dei criteri molto rigidi: al massimo una tessera da cinquanta fotocopie per ogni libro.
Il sole inizia a calare e non fa più così bene il proprio lavoro, il prato si svuota, Elle sta seduto sull’erba con A ed Emme mentre un ubriaco importuna le ragazze senza troppa convinzione. A dimostra buona memoria e rimane silenziosa, splendida e pallida, chiedendosi se vedrà le foto scattate all’osteria. Emme ha diciassette anni e qualcuno le ha rubato il casco, la madre l’ha convinta a sporgere denuncia e lei è andata in caserma. I carabinieri hanno steso il solito buffo verbale, hanno avanzato ipotesi: Dev’essere stato un rumeno, quelli hanno il DNA (hai presente il DNA?) come gli abbracci del mulino bianco, mezzo rumeno, e va bene, mezzo zingaro, per forza rubano sempre. Poi il carabiniere le ha chiesto se vuole diventare una micropoliziotta. I micropoliziotti non devono fare altro che riferire in caserma se notano qualcosa di strano, maniaci, spacciatori, consumatori di droga, a scuola, in biblioteca, sul prato. Ce ne sono già nella sua stessa scuola, le dicono, ma Emme lo sa già perché queste micropoliziotte le conosce, sono state due di loro ad indirizzare i carabinieri in occasione della retata in biblioteca. Orecchiano con discrezione le conversazioni e riferiscono, tengono gli occhi aperti e fanno finire in caserma i propri compagni di scuola. Emme racconta che le è stato lasciato un numero di telefono, casomai ci volesse ripensare, ed intanto Elle fuma pensoso una sigaretta all’ascìss.
G.: In camera mia le donne arrivano e se ne vanno quando voglio.
L.: Forse perché sono su internet.
G.: Come mai non parli mai?
L.: Lascia stare, è timida.
G.: Beh, si comincia sempre da una parola.
L.: E quella parola può essere vaffanculo.
Elle torna a casa che il sole è calato, gli viene troppo da ridere per riuscire a leggere e si stende sul letto a fumare una sigaretta. Accende il computer e si guarda un film in sintonia con il suo umore drogato, poi si addormenta.