4/8
2015

I cimbri non dimenticano

Dopo un lungo periodo di silenzio, riprendo il discorso da dove l’avevo interrotto: l’ultimo libro della saga cimbra di Umberto Matino, "Tutto è notte nera". Anche se qualcuno potrebbe credere di notare i sintomi di una lieve ossessione, che non mi sento di confermare né di smentire, vi assicuro che ho impiegato tutto questo tempo a leggere il libro, naturalmente. C’ho avuto anche altro da fare, come ho già scritto dall’altra parte. Mi sembra però opportuno, ora che l’ho letto, tornare a soffermarmi brevemente su questo romanzo che ancora una volta va a destare dal loro sonno secolare i cimbri della Val Leogra.
Perché?, chiede il bambino dall’ultima fila.

Ebbene, fino a pochi anni fa, da queste parti dei cimbri non importava niente a nessuno. C’erano il panda gigante, la tigre dai denti sciabola ed i cimbri, tutti tristemente votati all’estinzione... ma non è poi che non ci dormissimo la notte. Non io, almeno, e neppure il selezionato campione di giovani avvinazzati che frequentavo. Magari il fior fiore della classe intellettuale vicentina passava i sabati sera a discutere di storia locale e toponomastica cimbra, va a sapere, non ci invitavano mai alle loro feste e comunque è stato scientificamente dimostrato che l’opinione della classe intellettuale vicentina è l’elemento meno influente dell’universo. Per la maggior parte di noi popolino, in definitiva, i cimbri erano solo una minoranza linguistica asserragliata in un paio di paesuncoli dell’altipiano ed in qualche remota valle della Lessinia, che non avevamo mai visto e che non avevano niente a che fare con noi del pedemonte.

Poi un giorno arriva Matino, pubblica un romanzo che passa di mano in mano con la velocità di un incendio nella prateria, ed improvvisamente tutti scoprono che ehi, i cimbri siamo noi, abitanti della Val Leogra e dintorni, siamo noi padri e figli, siamo noi bella ciao che partiamo. La Val Leogra, il Tretto, Posina, persino la Valdelà e tutto il circondario brulicano degli ignari discendenti dei coloni teutonici che presero il nome di cimbri. Ed io che pensavo che la caratteristica "erre" del Tretto fosse solo il sintomo del degrado genetico dovuto a secoli di accoppiamenti tra uomini e capre! Per un attimo, con la scusa di leggere un racconto ambientato nel tinello di casa propria, il Veneto che lavora si è fermato e si è interrogato sul proprio passato, scoprendo cose di cui nessuno gli aveva mai parlato o che aveva dimenticato: le invasioni degli ungari, i vescovi feudatari, gli immigrati tedeschi, la miseria e la fame che per secoli hanno resa aspra la vita di queste montagne, il folklore e le sue favole più o meno spaventose.

Io non amo i romanzi gialli ed in generale nessun racconto in cui i carabinieri facciano bella figura, ma Matino riesce sempre ad avvinghiare saldamente le proprie trame delittuose a posti un po’ selvaggi e raminghi, vicini ma allo stesso tempo sempre emarginati, ai confini di questo Nordest industriale ed ambizioso, nel disprezzato e un tempo poverissimo contado. Anche in "Tutto è notte nera" le storie umane più disparate si intrecciano con la Storia con la esse maiuscola, le sue schiere armate e pestilenze, i grandi movimenti ereticali ed i tiranni medievali. Forse sta proprio qui il fascino dei libri di Matino, più che nell’indovinare chi sia l’assassino di turno: scoprire nel corso della lettura che a due passi da casa si è ritirato in presunta preghiera Ezzelino da Romano senior, o che il "castello" di Pieve dove noi andavamo ad ubriacarci era veramente un castello, o che questo pio angolo d’Italia era nei tempi andati un covo di eretici anarchici. E soprattutto, che qui è sempre stato pieno di cimbri, cimbri come se piovessero, con la loro cultura contadina e le loro tradizioni teutoniche che nei secoli, per amore o per forza, si sono poi fuse con quelle degli autoctoni. Storia ed invenzione sono così ben mescolati da suscitare un’inevitabile curiosità: sarà vera la storia di quella chiesa, di quella contrada, di quella donna, di quello stemma? E chi diavolo è Piero Porco*? Domande che un giorno potrebbero trovare risposta di fronte ad un paio di bicchieri di vino, ma questa è un’altra storia.

E’ facile, specialmente in periodi di crisi economica e culturale come questi, cedere alla tentazione di rifugiarsi nel folklore ed in una idealizzata ricerca delle "radici", di un’identità mitica con cui farsi scudo dai problemi che ogni giorno deliziosamente ci rompono i totani. Sarà anche per questo che negli ultimi anni tendono a proliferare nella steppa vicentina sagre medievali, feste celtiche e birre cimbre che si appellano ad aspetti del passato locale forse marginali, quando non inventati a tavolino. C’è un vasto movimento politico che ha fatto del localismo la sua prima ragione d’essere, e come questo sia degenerato nel razzismo, nel fascismo e nell’utilizzo strumentale delle presunte tradizioni è palesemente sotto gli occhi di tutti. Nei romanzi di Matino, la tradizione è invece materia culturale viva, a volte preziosa, spesso crudele come i mostri delle fiabe ed i morsi della fame, è frutto della storia dei popoli che, come onde, si sono nei secoli abbattuti contro questi monti e lungo queste valli. Il territorio che vi fa da sfondo è avaro con chi ci abita ma allo stesso tempo costantemente minacciato da contadini avidi, vescovi senza scrupoli e principi ambiziosi, figure che non sono scomparse con l’arrivo della modernità ma che si possono ancora riconoscere negli industriali ignoranti che erigono orribili capannoni fin dentro i greti dei torrenti, nei politici localissimi che vogliono ancora cementificare intere vallate con allucinanti grandi opere e nell’ottusità della cosiddetta società civile che pensa solo ai propri interessi particolari senza curarsi, se non a parole, della bellezza e dell’integrità del posto dove vive.

A volte anch’io, come i personaggi di Matino, mi sento combattuto tra l’attrazione per l’affascinante isolamento della vita rurale, come il misantropo orso cimbro che sono, ed il rifiuto per quel mondo durissimo e chiuso. Non sono neanche particolarmente affezionato a questi quattro sassi spelacchiati, in fondo, e le mie radici stanno benissimo dove sono: sotto terra. Di una cosa, però, sono sempre più convinto con ogni pelo bianco che mi spunta sulla barba: questi quattro sassi che sorvegliano la pianura dall’alto, questi boschi inselvatichiti popolati da caprioli e salbanelli e soprattutto la paura che ti incutono quando ti trovi ad attraversarli la notte dureranno molto, molto di più dei nostri castelli, capannoni e centri commerciali.

* I cimbri non dimenticano.

Note estemporanee di zio Lusky:
State alla larga dagli anarchici informali, gli anarchici per bene si riconoscono perché danno sempre del lei e dicono buongiorno, buonasera, prego, si accomodi, e grazie.




9/5
2015

Tutto è notte cimbra

E’ con un brivido di cimbritudine che corro ad informarvi che Umberto Matino, il mio scrittore vivente preferito, sta per dare alle stampe il suo terzo romanzo che si intitolerà "Tutto è notte nera" e tratterà del tema delle assonanze nel pedemonte veneto.

Scherzo, ovviamente parlerà dei cimbri, questi nostri misteriosi antenati con la erre importante vissuti per secoli in solitudine nelle valli più inaccessibili e negli altopiani più isolati prima di trovare finalmente una loro ragione di esistere nelle etichette della birra artigianale e nei romanzi gialli di Matino, dove di solito vestono il ruolo di tetri assassini o montanari psicopatici.

(Il che non aiuta a migliorare la vita sociale di noi portatori sani di erre cimbra, glielo devo dire Sig. Matino)

Sfortunatamente, la malasorte che da sempre perseguita la comunità cimbra fa sì che il romanzo non esca prima del prossimo 20 Giugno, il che d’altra parte vi da tutto il tempo di mettere da parte i soldi per andarvene a comprare una copia. O più di una copia, se voleste finalmente fare qualcosa di concreto per il sostegno della cultura in questo Paese.

Nel caso vi steste chiedendo il motivo di tanto entusiasmo da parte mia nei confronti di uno scrittore così immeritatamente poco famoso, potete anche andare a leggere le mie recensioni de "La valle dell’orco" e "L’ultima anguana", oltre ovviamente ai numerosi commenti che ho lasciato sul relativo canale youporn.




1/4
2015

Lettera numero uno

Due anni fa, oggi, me ne stavo probabilmente in una qualche valle delle Dolomiti a guardare un lago. Ottimo cibo, ottima compagnia, come al solito. Ancora non ti conoscevo, ma già ti pensavo.
Chissà dov’eri tu, disgraziata, lungo una strada di campagna o nei sobborghi sudici di una grande metropoli, condannata all’abbandono dal tuo essere una femmina speciale. Chissà se scacciavi la solitudine piangendo, se ti disperavi, se spaccavi per la rabbia tutti i vetri di quella fosca città, o se ne stavi raggomitolata in silenzio, in attesa di aiuto. Il tormento.
Mi incuriosisci molto. Sei la cosa che mi incuriosisce di più al mondo, in effetti, ed io sono una cosa molto curiosa. Cosa ti piace, cosa sogni, come mangi, come dormi. Il suono della tua voce quando parli e quando canti, il peso della tua mano nella mia. Dove sei, dove sei stata in questi due anni, cosa ti trattiene, quanto a lungo ancora vorrai stare lontana. Tutto è un’incognita, la più grande in cui mi sia imbattuto. Una forma di vita straordinaria e sconosciuta, una scoperta rivoluzionaria ancora da scoprire, un’epifania non ancora rivelata. Un universo intero da esplorare. I minuti che ci separano non posso neppure contarli, mi limito a sgranarli uno ad uno digrignando i denti per la lontananza, consolandomi con una foto in cui sorridevi e guardavi altrove. Spero tu stia bene, anche se lontana. Spero tu non abbia paura quando scoppiano i temporali e sia molto distratta da passatempi bellissimi e frivoli. Il mio cuore è lì con te, non ti lascia sola un attimo, il corpo si trattiene a stento dal lanciarsi all’inseguimento.

Verrò a prenderti, un giorno.




20/3
2015

Isis like Sunday morning

Il debutto sulla scena mediatica degli orridi fascioteocrati dell’Isis non vi sarà certo passato inosservato, a meno che viviate in una qualche caverna afgana. Ma anche in quel caso, probabilmente. C’è molto da commentare su questi lugubri tagliagole, sui loro fini oggettivi e soggettivi, sul loro libro entrate/uscite e persino sulla loro estetica da videogioco, e molti hanno commentato. Altrettanto interessante è però la reazione ai loro sanguinari happening ed alle loro tragicomiche invettive sui social network da parte dell’Occidente, come lo intendono loro ed i loro speculari avversari. Emergono, tra le altre, due forme di ipocrisia molto caratteristiche della nostra famigerata civiltà superiore. In primo luogo, i Paesi che hanno per secoli invaso non solo il Medio Oriente ma praticamente tutto il mondo con i loro eserciti, che hanno commesso genocidi con ogni genere di arma compresi ovviamente i gas e le bombe incendiarie ma senza disdegnare coltelli e baionette, che hanno torturato, stuprato e mutilato senza pudore vecchi, donne e bambini, che hanno sfruttato le materie prime di questi Paesi, che ne hanno affamato le popolazioni, che le hanno consegnato nelle mani di mercenari e multinazionali, che hanno appoggiato colpi di stato, imposto e disfatto governi dispotici a loro piacimento, ora questi stessi Paesi Civili si stracciano le vesti per la barbarie dell’Isis, che si distingue dalla loro solo per visibilità mediatica e quantità, in difetto. Il califfo ed i suoi beccamorti non hanno inventato nulla. Davvero vedendo le immagini delle vittime arse vive non avete pensato neppure un secondo al fosforo bianco su Fallujah e sulla Palestina? Piangendo per le statue assire, avete speso un attimo a ricordare le città africane o asiatiche saccheggiate dalle truppe coloniali, sventrate dai bombardamenti intelligenti?
In secondo luogo, ad ogni attacco soffriamo sdegnosamente il restringersi della scelta tra le destinazioni per le nostre vacanze. Addio a Tunisi, meglio stare lontani da Sharm... Anche i viaggi d’affari sicuramente ne soffriranno. L’Occidente si lamenta perché viene colpito nelle uniche forme di viaggio che ritiene utili e possibili, proprio mentre si impegna con sempre maggior vigore nel limitare il naturale istinto umano ad attraversare i confini per cercare una vita migliore. La stessa gente che invoca a gran voce l’affondamento dei barconi di profughi reagisce scocciata, frustrata all’ipotesi di dover rinunciare alle ferie a Djerba. Questi pecorai barbuti, questi crudeli e disperati seguaci di follie sovrastrutturali, potranno anche radere al suolo le nostre torri di pizza e distruggere con il bulldozer il colonnato di Piazza San Pietro, potranno decapitarci tutti in fila sulla costiera romagnola o arderci vivi nelle nostre gabbie dorate, ma non riusciranno mai a scalfire il nostro decadente, inconsapevole nichilismo. La folle società distopica che vorrebbero imporre al mondo, pure quella, differisce dalla nostra più per mancanza di pudore che per eccesso di violenza.




7/1
2015

Continuons à dessiner

Il coro delle rane mi fa impazzire, preferisco chi sa esprimere il proprio dolore in silenzio o con poche, essenziali parole. Io mi rifugio in questa terra di nessuno, a parlare da solo, a scuotere pugni contro le nuvole. Mi ripugnano gli assassini, gli sciacalli, i commentatori che accusano tutti i musulmani, chi parla di attacco ai valori dell’Occidente e rivaluta la Fallaci, chi analizza strategicamente e militarmente, chi prende le distanze, chi si chiede se quei giornalisti non stessero esagerando, chi invita i media alla prudenza, chi invita i media alla violenza, chi tenta la provocazione, chi invita gli altri a tentare la provocazione, i fascisti, chi cita Voltaire, chi fa dei distinguo, i censori che inneggiano alla libertà di stampa, i bugiardi che esaltano la verità, i vigliacchi che inneggiano al coraggio, chi dice che oggi non c’è niente da ridere. A parte te, i quadrupedi ed i pennuti mi ripugnano praticamente tutti, oggi. C’è sempre qualcosa da ridere, specialmente nelle tragedie, e presto recupererò anche la mia fiducia nel genere umano. Siamo l’unica specie con il senso dell’umorismo, in fondo.




26/12
2014

Lo spirito del natale presente

Sono passati quasi tre mesi. Sono passati quasi quattro mesi. È passato quasi un anno. Sono passati quasi dieci anni. Sono passati quasi trentotto anni.

Se dieci anni fa mi avessero detto che saremmo andati tutti in giro con un segnalatore gps infilato in tasca, che avremmo pagato per averlo, se mi avessero detto che avrei guardato serie tv in streaming invece di film, che avrei spedito auguri di natale a gente che non vedo mai, che non avrei più visto gente che allora vedevo sempre, se mi avessero detto che la vigilia di natale sarei andato a farmi tagliare i capelli dai cinesi e che sarebbero andati di moda i droni, forse non mi sarei stupito per niente. Certo speravo di averne di più, di capelli da tagliare.

Se ti ho mandato un messaggio di auguri per natale, non ti offendere. Ho fatto copia e incolla, lo ammetto, ma almeno non l’ho spedito a tutta la rubrica ed ho inserito il tuo nome a mano. Ti ho pensato, almeno per un momento. Nonostante l’acqua passata sotto i ponti, l’erba cresciuta e i cavalli campati. Ed auguro davvero, davvero, giorni felici a te e a chi ti è caro. Magari lontano da me, ma felici.

Se non ti ho mandato un messaggio di auguri per natale, lo stesso, non ti offendere. Magari ti ho pensato troppo, magari so che sei un marxista radicale con poco senso dell’ironia, forse il tuo numero di telefono è bruciato nel grande rogo della primavera 2006 o il tuo nome è balzato in rubrica troppo tardi, quando la mia pazienza per questo genere di cose era già terminata. Magari ti ho scritto e tu hai cambiato numero di telefono sedici volte dall’ultima volta che ci siamo parlati, o mi hai messo in blacklist. Ma auguro lo stesso giorni felici a te e a chi ti è caro perché in fondo, la vita è già fin troppo tirchia.

Prima dei telefoni col gps, dei droni e dei cardiografi da polso, prima delle dirette da piazza san pietro e del cristianesimo e del sole invitto, c’erano solo l’oscurità e la luce. C’erano dei cavernicoli che guardavano il giorno diventare sempre più corto ed il mondo sempre più buio e freddo: gli animali si nascondevano nelle tane, i semi non germogliavano, le piante avvizzivano. Giorno dopo giorno, la notte avanzava. Quando sembrava ormai che il buio ed il freddo avrebbero invaso ogni rifugio e spento ogni cosa viva senza lasciare scampo per queste fragili bestie senzienti, proprio allora l’incedere della notte si arrestava e la luce timidamente iniziava a riconquistare quel che aveva perso. L’inverno era ancora lungo, ma un altro ciclo ricominciava ed in quel primo giorno di luce nuova c’era già la promessa di un’altra primavera, di un’estate in arrivo. Per questo celebriamo la luce, per questo ci stringiamo attorno al fuoco, ai piccoli della specie ed agli spiriti affini in queste notti invernali ben poco magiche e sempre troppo lunghe.




30/9
2014

Another day in September

Non mi importa di cosa reciti il calendario, delle profezie di sventura dei capelli bianchi sulle tempie, della spianata del bai hui ormai visibile dallo spazio o della dolente sinfonia delle cervicali, signora mia le cervicali: ho una lunga lista di cose da fare prima di arrendermi al lusso di diventare vecchio. Mentre spunto qualche voce qua e là, mi premuro di continuare ad allungarla con lingue nuove da imparare, città in cui volare, libri da leggere e da scrivere, cibi da cucinare, té da bere, persone da incontrare e da reincontrare, forme da imparare e formalismi da disimparare, stanze da distruggere e stanze da ricostruire. A volte sono molto triste, la società occidentale, la razza umana e più in generale l’universo conoscibile mi sembrano sul pizzo di un crollo burrascoso più che di un inarrestabile declino. E’ un’illusione, nulla finisce perché nulla è cominciato, le civiltà succedono le une alle altre più che altro per dar lavoro agli storici, come i soldati si ammazzano per dar lavoro a preti, generali e presidenti. A volte mi esalto per delle fesserie e mi ritrovo a canticchiare "I want to be the one to walk in the sun" mentre spazzo le foglie sul marciapiede: l’ansia e l’euforia sono illusioni, i servizi del telegiornale sull’apocalisse prossima ventura sono illusioni, si continua a nascere e a morire e a commuoversi per le stesse malattie, a dare la colpa a qualcun altro per la nostra sofferenza, mentre ad invecchiare bene o male ci riescono solo i più fortunati. Il futuro non mi fa paura, anche se mi ci avvento sempre troppo cautamente, illuminato dalla fiaccola dell’avanguardia. Anche oggi sono sempre io, orridamente simile a me stesso, forse in lento continuo mutamento, con una candelina in più sulla torta.




27/8
2014

Le guerre dell’ovvio

"Viviamo la terza guerra mondiale, ma a pezzi". Con queste parole papa Francis I ha tentato di rasserenare gli animi dei cattolici qualche giorno fa, prima di aggiungere bonariamente che "Quando c’è un’ingiusta aggressione è lecito fermare l’aggressore ingiusto. Fermare solo, però: non dico bombardare, fare guerra." E quindi giù di Pater Noster, immagino.

Più o meno negli stessi giorni, il parlamentare grillino Alessandro Di Battista ha pubblicato sul blog del suo capo un lungo articolo intitolato "ISIS: che fare?" in cui passa rapidamente in rassegna le cause dell’attuale instabilità in Iraq e formula alcune proposte più o meno concrete per avvicinarsi ad una soluzione. L’articolo è a mio avviso molto interessante e, pur non contenendo né rivelazioni sorprendenti né idee particolarmente rivoluzionarie, credo sia una delle analisi più lucide e condivisibili che ho letto in giro. Non sono d’accordo con tutte le idee di Di Battista e penso abbia semplificato troppo alcuni aspetti della situazione, ma è comunque più approfondito e ragionato del pensiero papale.

Chiaramente, poiché viviamo in un Paese dove vige la libertà di opinione, la reazione generale è stata di profondo sdegno e varie tonalità di sarcasmo da parte di tutte le altre forze politiche e di tutti gli opinionisti, specialmente quegli intellettuali da tastiera che rappresentano la vera avanguardia rivoluzionaria italiana. Cosa ha scritto il parlamentare grillino di tanto offensivo? Che il sorgere di eserciti fondamentalisti come l’Isis è dovuto a decenni di neocolonialismo in Medio Oriente, in particolare all’invasione americana del 2003 ed alla gestione fallimentare del dopoguerra. Che alcuni uomini, non avendo altri mezzi per "fermare l’aggressore" dotato di una soverchiante potenza militare, ricorrono al terrorismo come strategia low cost ma efficace. Che dare armi ai curdi non è una bellissima idea, perché la storia insegna che terminato il conflitto attuale potrebbero rivolgere le stesse armi verso qualcun altro. Che per fermare quelli che definiamo unilateralmente terroristi non basta bombardare di più o inviare più droni, ma è necessario "elevarli a interlocutori" o come preferisco pensarla io "parlare con queste teste di cazzo come se fossero esseri umani". Soprattutto quest’ultima posizione ha sollevato un gran polverone: dialogare con i terroristi, con i barbari che decapitano giornalisti, uccidono bambini e sterminano cristiani? Con i fanatici che vogliono conquistare il mondo e massacrarci tutti? Vade retro, Satana! La posizione ufficiale del pensiero unico è che Di Battista sia un cialtrone, uno disposto a parlare con i terroristi ma non con il governo, un ingenuo, un filoislamista, un anti-occidentale per partito preso, un disinformato, uno che non ha rispetto per i morti ed un imbecille. Gran parte di queste caratteristiche gli vengono attribuite per il semplice fatto di appartenere al Movimento Cinque Stelle, suppongo, partito politico per il quale personalmente neanch’io nutro simpatia. Non che Di Battista abbia espresso solidarietà con i terroristi, d’altra parte, non che li giustifichi in alcun modo, ma lui da un lato vorrebbe "parlargli" a questi stronzi e dall’altro mette sullo stesso piano i morti provocati dall’Isis con quelli causati dai colpi di stato, dalle guerre civili scatenate dagli interessi delle multinazionali, dai bombardamenti americani ed europei. "E allora ci vada lui a dialogare con l’Isis!"
Di Battista scrive: "Occorre legare indissolubilmente il terrorismo all’ingiustizia sociale. Il fatto che in Africa nera la prima causa di morte per i bambini sotto i 5 anni sia la diarrea ha qualcosa a che fare con l’insicurezza mondiale o con il terrorismo di Boko Haram? Il fatto che Gaza sia un lager ha a che fare con la scelta della lotta armata da parte di Hamas?".

E allora Di Battista sta con i terroristi, mi pare chiaro.

Undici anni fa, sapevamo tutti benissimo che la guerra in Iraq avrebbe provocato un’estremizzazione del conflitto ed un aumento del terrorismo internazionale, allora ci accusavano di stare dalla parte di Saddam Hussein che gasava i curdi. E’ quindi con riconosciute doti profetiche che azzardo un’ipotesi su cosa succederà ora con l’Isis: condanneremo fermamente i loro crimini, li bombarderemo (con qualche piccolo danno collaterale, purtroppo inevitabile), aumenteranno le minacce di terrorismo internazionale, il conflitto bellico passerà da una fase di grande intensità di fuoco ad una lunga e stagnante guerriglia che farà soffrire soprattutto la popolazione civile, alcuni capi dell’Isis riceveranno infine abbastanza mazziate e mazzette da decidere di scendere su posizioni più accomodanti e saranno "elevati ad interlocutori" dai Paesi Occidentali, si arriverà ad una pace instabile ma remunerativa.

Poi, emergerà una nuova minaccia, terribile e disumana, che potrà essere affrontata solo armi in pugno per difendere la libertà e la democrazia. Ad libitum.




19/8
2014

Il Paese che lamo

E tre.
Se qualcuno di voi pensava che il delitto Montesi, l’omicidio di Mattei, la morte di Giangiacomo Feltrinelli, la strage di Piazza Fontana, dell’Italicus, di Piazza della Loggia, della stazione di Bologna ed il rapimento di Aldo Moro fossero troppo per una persona sola, è evidente che non avete mai sentito parlare di Andrea Sterling. E se non avete mai sentito parlare di Andrea Sterling, possano i vostri passettini innocenti non attraversare mai la strada del più grande figlio di puttana che la storia patria ricordi, con l’unica possibile e non dimostrata eccezione di Walter, il bullo che veniva in seconda media con me.

Come potete a questo punto immaginare, l’ormai solo parzialmente barbuto Simone Sarasso ha preso una pausa dalla sua versione alternativa della storia di Asterix per concludere con "Il Paese che amo" quella che tutti (ma soprattutto lui) chiamano la "trilogia sporca" italiana: la storia di come Andrea Sterling, giovane carino cresciuto tra le amorevoli torture di un ospedale psichiatrico, arruolato in polizia è salito di delitto in delitto ai vertici dei servizi segreti italiani, ha fatto carriera in Gladio, ha organizzato e/o eseguito materialmente e/o commentato entusiasticamente su facebook le principali stragi pubbliche e private avvenute nel nostro Belpaese per poi cadere in un vortice di depressione ed altri omicidi avendo realizzato che no, non ci sarebbe stato un colpo di stato fascista e no, non c’era veramente modo di uccidere Andreotti senza raccogliere tutti gli horcrux e soprattutto no, non importa quanti comunisti ucciderai, tua madre alla fine non verrà a prenderti perché non ti ha mai veramente amato.

Ora vi spoilero la trama, perché il taccheggio alla Feltrinelli è sempre più rischioso e dovete sapere che ne vale la pena. Ma prima, una doverosa precisazione: ancora una volta, il bravo Sarasso si mette d’impegno a fracassare i maroni cambiando tutti i nomi dei personaggi realmente esistiti per garantirsi migliore libertà creativa, quel genere di libertà che non puoi avere se Maurizio Costanzo ti fa causa perché hai scritto che a casa sua non si tromba dai primi anni Settanta. Ma poiché io non ho motivo di temere che gli avvocati di Maurizio Costanzo e di suo marito querelino Simone Sarasso, in questa rece raddrizzerò i nomi in modo che anche il lettore che non ha ancora familiarità con Sarassolandia possa capirci qualcosa. E se Sarasso non fosse d’accordo, in fondo cosa può farci?
Per dirlo con parole sue:
Un gran. Bel. Cazzo.
Procediamo.

Inizio anni Ottanta: il nostro amico Andrea Sterling, sconfitto nel capitolo precedente dal malvagio gobbo Andreotti, si è ritirato da qualche tempo a crimini privati organizzando la famosa "Pizza Connection" per l’esportazione di eroina negli Stati Uniti dentro i barattoli di pelati. Bettino Craxi, divenuto da poco Presidente del Consiglio, lo richiama a Roma e gli offre il suo vecchio ruolo di capo dei servizi segreti per usarlo come arma nella battaglia politica contro il vecchio divo Giulio, in un groviglio di vendette tramate in silenzio, parole non dette e rancori sopiti che ricordano tanto alcune delle mie migliori storie d’amore. Gli intrighi di palazzo, tuttavia, non spaventano Sterling: ci sono probabilmente nuovi attentati da organizzare e di certo tutti quei comunisti non si ammazzeranno da soli, per cui accetta l’incarico istituzionale per senso di responsabilità.
La delusione però è subito dietro l’angolo: Craxi non condivide le sue posizioni di politica internazionale e quando i terroristi palestinesi che hanno dirottato l’Achille Lauro vengono bloccati dagli americani nell’aeroporto di Sigonella, il Presidente del Consiglio decide di proteggere i palestinesi e la propria relazione con Arafat invece che lasciare mano libera agli americani o, come avrebbe preferito Sterling, uccidere sia i terroristi che gli americani, i carabinieri, il personale aeroportuale, i passeggeri e l’equipaggio della nave da crociera nonché i loro parenti ed amici più prossimi così da dare a tutte quelle zecche schifose una bella lezione.
Andrea Sterling deve così fare i conti per la prima volta con il tempo che passa: i settant’anni si avvicinano, i socialisti sono al governo, lui deve lavorare per loro e si dica quel che si vuole, sotto il centrosinistra non si uccide più bene come sotto la DC. Neanche le sue beneamate pasticche riescono a tiragli su il morale, neanche le sveltine con Ilona Staller alle feste dell’ambasciatore o i complotti con i servizi segreti polacchi per ammazzare il papa, neanche le improbabili gite in Belgio alla ricerca di supermercatini comunisti dove far strage di innocenti.

(Sì, Sterling è un settantenne in forma. Alla sua età mio nonno ci rimase secco solo a vederla su un giornalino, Ilona Staller.)

Proprio quando le cose stanno andando male, insomma, proprio in un momento qualsiasi della storia italiana, ecco poi arrivare a tradimento la vendetta di Andreotti. Da un covo delle BR di via Monte Nevoso a Milano il gobbo fa sbucare un memoriale di Aldo Moro in cui narra tutta la vicenda di Gladio, rovinando irrimediabilmente l’onore, la reputazione e la rispettabilità di Andrea Sterling: viene infatti grossolanamente sottostimato il numero degli omicidi, e si lascia intendere che abbia avuto un momento di esitazione prima di uccidere la madre di Bambi.

A questo punto, braccato assolutamente da nessuno per tutto il resto del libro, Andrea Sterling si comporta esattamente come io avevo predetto quasi tre anni fa: si ritira a coltivare cavoli in un orto sugli Apennini, con il solo conforto delle saltuarie visite dell’omai parlamentare Ilona Staller e di episodiche gite di violenza in cui dirige in azione il gruppo della Uno Bianca alla ricerca di gente qualsiasi purché vagamente di sinistra da far fuori.
Proprio così, piccoli amici, si conclude la parabola criminale di Andrea Sterling, il braccio armato più incazzato del padronato, massone, mafioso, fascista, tossicomane, ex capo di Gladio, ex capo dei Servizi Segreti Deviati e di quelli Non Deviati, esecutore materiale della morte di più gente della peste bubbonica del 1347, ideatore di innumerevoli colpi di stato nonché delle più prestigiose trame occulte della prima repubblica: finisce per incendiare i campi nomadi perché sono sporchi, ammazzare i benzinai negri perché sono negri e rapinare le coop perché francamente 50 bollini + € 4,90 per un bicchiere di cristallo colorato sono un furto. Da John Rambo a Calderoli in meno di duemila pagine, che fine agghiacciante.

Nel frattempo, il cerchio sta per stringersi attorno a lui per l’ultima volta: la mafia gli chiede un ultimo favore, la morte del giudice Falchellino, scampato miracolosamente all’attentato di Capaci (in questo libro Falcone e Borsellino sono stati riuniti in un unico personaggio per il gusto di poterlo ammazzare due volte). In realtà, il nuovo capo di Cosa Nostra è d’accordo con Andreotti per approfittare di far fuori anche Sterling nell’attentato di via d’Amelio, contemporaneamente ma indipendentemente dai servizi segreti polacchi che a loro volta lo vogliono morto per ragioni non chiarissime ma sicuramente valide. In ogni caso, potete immaginare come va a finire?

No, non ve lo dico. Ma è un finale talmente ignobile per uno come Sterling, uno che per quarant’anni ha tenuto in mano le palle d’Italia e le ha usate come anti-stress, uno che se voleva sapere che ora fosse uccideva qualcuno a caso per sbirciare l’orario di morte sui referti, che a dire il vero se lo meritava proprio.

Storie collaterali che non ho citato: Ilona Staller povera ragazza dell’Est Europa che viene in Italia, diventa una pornostar famosissima e contesa da tutto il bel mondo, poi amica di Craxi e parlamentare ma sempre sotto ricatto da parte di un agente segreto polacco con l’alito che puzza ed il braccio finto, Matteo Messina Denaro che fa tutta la scalata a Cosa Nostra senza togliersi i rayban, l’integerrimo giudice Falchellino che lotta contro la mafia, Maurizio Costanzo che esplode acciso, Mauro Rostagno fugacemente citato e rapidamente ammazzato, Antonio Di Pietro giudice meridionale a Milano che scopre Tangentopoli a mani nude, Bettino Craxi che si gusta il potere per circa cinque minuti prima di essere nuovamente scaricato dal popolo bue, Silvio Berlusconi amico di Craxi che però si sgancia all’unico secondo. Insomma, roba che avreste potuto benissimo leggere sul giornale se foste stati in grado di leggere negli anni Ottanta.

Tra i dettagli minori di cui non ho capito il senso, devo citare tutto un casino per coinvolgere Ilona Staller nell’attentato al papa polacco al fine indebolire Solidarnosc, quando poi il ruolo della bella pornostar si limita a guardare la scena dalla finestra con il binocolo. Inoltre, Andreotti ha ripreso misteriosamente a fumare dopo aver scassato i coglioni per tutto il libro precedente cercando di smettere. Infine, il piccolo dettaglio trash che contribuisce a rendere "Il Paese che amo" un capolavoro: il giudice Falchellino che ascolta "Canzone per un’amica" dei Nomadi al momento della strage di Capaci. Genialità pura distillata in inchiostro e messa nero su bianco, o forse sublime cazzatona, un giorno i posteri lo sapranno dire.



Resta solo un piccolo appunto personale, un dubbio insoluto alla fine del romanzo che potrebbe o non potrebbe richiedere un quarto capitolo per essere dipanato. E’ il Gennaio del 1994, Craxi è in esilio, Berlusconi è decisamente in corsa per prendere il potere in Italia, i servizi segreti polacchi sono stati debellati, Matteo Messina Denaro è costretto alla latitanza ed Andrea Sterling è omissis: allora chi cazzo ha detto ai miei dove nascondevo le sigarette?




23/7
2014

Per non perdere il vizio

Una domenica mattina qualunque, io e quattro conoscenti beviamo un caffè al bar della stazione. Un caffè, dice uno, o meglio un bicchiere di vino. Fuma e parla a ripetizione, ha perso se possibile qualche chilo. Sta per emigrare in Romania. Un altro dei quattro vive ormai in Lituania, il terzo non parla, l’ultimo gioca a ping pong con la Turchia dove pubblica articoli che nessuno gli paga. Le ultime menti della mia generazione stanno lasciando il paese, se la ridono dell’Europa e vanno dove li porta l’istinto di sopravvivenza, come tutti gli animali sani. Io mi verso un altro pastis e ricomincio a scrivere.

Un giorno, in questo triste borgo natio resteremo solo io e la gatta, e quando neanche la gatta ci sarà più potrò dire con una certa soddisfazione di essere il più intelligente in giro. Ogni bomba che cade, cade su di noi. Ogni aereo che cade è il nostro aereo. Si progettano vacanze, riforme, attentati, grotteschi e teneri monumenti digitali agli antenati, battute di caccia ai fantasmi, poi tutto cade. Se restiamo vivi, ci rialziamo in piedi. Se siamo in piedi, ricominciamo. Sarei solo felice di saperti felice, dice la ferita al coltello. Scioccamente, l’ama. Io mi verso un altro pastis e continuo a scrivere, lasciando aperta qualche parentesi per quando vorrai tornare.




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